19 Novembre 2013

Nessuna interposizione fittizia tra l’ente sportivo e la immobiliare proprietaria dell’impianto

di Luca Caramaschi
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Con la recente sentenza n.86/3/13 della CTP di Como, depositata lo scorso 11 novembre, i Giudici tributari di prima istanza si sono pronunciati in modo favorevole al contribuente su una questione che negli ultimi anni ha interessato il rapporto esistente tra la società di capitali immobiliare proprietaria dell’impianto sportivo e l’associazione sportiva dilettantistica che lo conduce in locazione. Nelle predette fattispecie, infatti, è assai frequente il fenomeno per cui la compagine sociale dell’ente associativo è parzialmente o totalmente coincidente con quello della società immobiliare, con l’ulteriore variabile della obbligatorietà di assumere la titolarità di una quota della immobiliare da parte di coloro che intendono entrare a far parte dell’ente associativo.

In ragione di tale situazione, si sono verificate diverse attività di accertamento intraprese nel territorio nazionale finalizzate a contestare i rapporti esistenti tra il soggetto proprietario dell’impianto sportivo (spesso inquadrato nella forma della società per azioni, stante la più rapida ed economica circolazione delle quote sociali rispetto, ad esempio, ad una srl) ed il soggetto che gestisce tale impianto (trattasi spesso di realtà operanti nel settore del non profit e più precisamente nel settore sportivo dilettantistico)

In particolare, le contestazioni mosse dagli organi accertatori muovono dal presupposto dell’esistenza di una “interposizione fittizia” tra l’ente non profit e la società commerciale proprietaria dell’impianto con conseguente riconduzione del primo soggetto (interposto) all’unica realtà commerciale svolta. La doppia natura di socio della immobiliare e associato dell’ente sportivo, peraltro imposta dallo stesso regolamento associativo nel caso in commento, configurerebbe, inoltre, una supposta violazione in capo a quest’ultimo soggetto del divieto normativo/statutario di distribuzione dell’utile agli associati nonché in capo all’ente una violazione dell’obbligo di devoluzione del patrimonio imposto all’ente in occasione del suo scioglimento.

I supposti elementi su cui si fondano tali contestazioni si sostanziano in molti casi nella verifica di una totale o parziale identità della compagine sociale e di quella associativa, totale o parziale identità della componente amministrativa della società e dell’ente, nella verifica dell’esistenza di vincoli statutari e/o rapporti contrattuali che legano le due realtà oggetto di indagine. Tali circostanze, infatti, farebbero presumere all’amministrazione finanziaria che i proventi conseguiti dall’ente non profit (in parte irrilevanti ai fini fiscali perché riferiti all’attività istituzionale, in parte irrilevanti ai fini fiscali in virtù di specifiche ipotesi di decommercializzazione, in parte ritenuti commerciali ma assoggettati a regimi fiscali agevolati) siano da ricondurre all’unica attività commerciale svolta (quella della realtà commerciale) con conseguente assoggettamento degli stessi alle regole di tassazione previste per la generalità delle imprese.

Di diverso avviso, invece, sono i Giudici tributari (si veda CTP Como 86/3/13 in commento).

Secondo l’organo giurisprudenziale, il possesso della quota della immobiliare da parte dell’associato non configura affatto una possibile ipotesi di distribuzione di utili ricollegabili all’associazione; ciò in quanto gli utili generati dalla locazione dell’immobile posta in essere dalla società proprietaria, precisa letteralmente la sentenza, “vengono acquisiti dai soci dell’associazione non in quanto tali ma in quanto soci della distinta società di capitali proprietaria dell’area, in misura ovviamente proporzionale all’entità della partecipazione societaria”. Correttamente, inoltre, la sentenza precisa che “la diversa soggettività giuridica dei due enti osta alla pretesa commistione” sostenuta dagli organi accertatori. Si fa riferimento, ad esempio, alle diverse conseguenze che sul piano civilistico si producono nei casi di decesso del socio rispetto all’una o all’altra formazione sociale/associativa.

Né la presenza di un regolamento che obbliga l’associato ad acquisire una quota della società immobiliare può essere argomento sufficiente a sostenere la supposta interposizione; mentre per l’associato, precisa in proposito la sentenza, tale obbligo persegue certamente l’obiettivo di far “conservare all’associazione la facoltà di utilizzare le aree”, garantendone la destinazione ed evitando che terzi acquirenti le possano utilizzare per altri fini, per il socio della immobiliare tale obbligo rappresenta certamente un elemento a favore del mantenimento del valore economico dell’investimento effettuato dalla medesima.

Con riferimento poi, alla supposta, violazione dell’obbligo di devoluzione del patrimonio dell’associazione ad altro ente avente finalità analoghe in caso di scioglimento, la sentenza correttamente dichiara l’assoluta indipendenza tra i patrimonio personale dell’associazione (composto quasi sempre da soli beni mobili) ed il patrimonio della società immobiliare, quest’ultimo “vincolato alla volontà dei relativi soci secondo la disciplina civilistica delle società di capitali”.

In conclusione, secondo i Giudici, nessuna violazione del divieto di distribuzione degli utili di cui al comma 8 dell’art.148 del TUIR è configurabile in capo agli associati, né tantomeno è ravvisabile la prospettata interposizione fittizia tra le due entità e, ciò, in ragione dell’assoluta riconduzione, senza alcun tipo di commistione, della figura del socio e dell’associato alle rispettive entità giuridiche di appartenenza.