Niente effetto “replica” tra PVC e avviso di accertamento
di Comitato di redazionePuò, l’Amministrazione finanziaria, recepire in modo acritico il contenuto di un PVC sulla scorta dell’ormai consolidato principio della c.d. motivazione per relationem (se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale)?
Qualcuno, leggendo il quesito, potrebbe restare subito, poiché si tratta della situazione che normalmente si riscontra nella pratica.
In buona sostanza, dopo che il soggetto verificatore ha redatto il processo verbale, l’ufficio accertatore, nella stragrande maggioranza dei casi, si limita a riprenderne il contenuto all’interno dell’avviso, senza discostarsi dal medesimo, se non in situazioni molto particolari.
Ove il contribuente abbia presentato memorie difensive, nella motivazione dell’avviso si dovrà riscontrare, in aggiunta, traccia delle proposte censure e ragioni del mancato accoglimento delle medesime.
La sollecitazione alla riflessione nasce da una recente sentenza della Cassazione (sentenza 12794 del 21 giugno 2016), nella quale ci si è occupati di un caso identico a quello rappresentato.
I giudici d’appello, nella sentenza impugnata, sostenevano che l’Agenzia delle entrate aveva acriticamente recepito il processo verbale di constatazione della G.d.F. e, ritenendo di non dover svolgere alcuna indagine sui fatti emergenti da quel verbale, aveva sostanzialmente violato le disposizioni di cui agli articoli 63, 51, 52 e 56 D.P.R. n. 633 del 1972, che impongono all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di svolgere l’attività accertativa, essendo quella della Polizia Tributaria un’attività di natura meramente collaborativa con la prima, e di indicare specificatamente gli elementi probatori negli atti impositivi che emette.
Inoltre, anche se ciò interessa meno in questa sede, si sosteneva che l’Ufficio aveva illegittimamente ignorato l’istanza presentata dalla contribuente ai sensi del D.Lgs. n. 218 del 1997, articolo 6, cosi impedendole, oltre che di esporre le proprie ragioni e fornire elementi probatori di segno contrario, anche di usufruire dei vantaggi economici derivanti dall’eventuale esito positivo della procedura di adesione.
L’Agenzia delle entrate, chiedendo la cassazione della sentenza, sostiene – appunto – che il deciso si pone in aperto contrasto con la consolidata esperienza della Corte, nel senso di considerare legittimo l’accertamento fondato su una motivazione per relationem.
Diverso è il parere della Cassazione che rigetta il ricorso, ritenendo corretto l’operato dei giudici di secondo grado.
Infatti, la sentenza della regionale, nel ritenere fondata la doglianza della società appellante (ci si riferisce all’appello a suo tempo presentato dalla contribuente) in ordine all’acritico recepimento da parte dell’Amministrazione finanziaria del processo verbale di constatazione della G.d.F., precisava che tale recepimento fosse avvenuto:
- “senza svolgere alcuna attività tesa all’acquisizione di un autonomo convincimento basato su prove certe da cui far scaturire l’avviso di accertamento“;
- violando l’onere, che incombe sull’Amministrazione finanziaria, di espletare l’attività accertativa (articoli 52 e 53 D.P.R. n. 633 del 1972, poiché nel caso in esame si discuteva di IVA) anche avvalendosi della collaborazione della polizia tributaria (articolo 61 stesso D.P.R.).
Pertanto, e questo risulta il punto centrale della sentenza, il pronunciamento impugnato:
- non nega affatto validità alla motivazione per relationem;
- né sollecita una ulteriore attività istruttoria da parte dell’Ufficio.
Bensì, e qui si giunge al punto, rimarca “la necessità che questi provveda ad espletare una funzione valutativa ed estimativa consistente nella qualificazione giuridica dei rapporti, atti o documenti, cioè dei fatti rilevati dall’organo investigativo, escludendo che ciò possa essere integrato dal rinvio acritico ad un verbale della G. di F.”.
E l’affermazione sembrerebbe quasi scontata; infatti, se così non fosse, probabilmente non vi sarebbe nemmeno motivo per cui l’avviso di accertamento debba seguire il PVC, potendosi attribuire al medesimo documento la funzione di atto di pretesa tributaria.
Infatti, se tale acritico recepimento fosse possibile (circostanza che invece è negata dalla Corte), il ruolo attribuito all’Agenzia sarebbe quello di mero “postino” di una pretesa già confezionata dal verificato.
Ma tale conclusione non può essere vera, anche per il “nome” attribuito ai documenti: la constatazione è cosa ben diversa, infatti, dalla contestazione.
Peraltro, analogo principio è già stato affermato nella sentenza 4350 del 4 marzo 2016, relativa ad un caso analogo, al quale la ricorrente Agenzia pretendeva fosse applicato il seguente principio di diritto “l’atto amministrativo finale di imposizione tributaria, il quale sia il risultato dell’esercizio di un potere amministrativo frazionato anche in poteri istruttori attribuiti, in proprio o per delega, ad altri uffici amministrativi, è legittimamente adottato quando, munendosi di un’adeguata motivazione, faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali“.
Diversamente, la Cassazione – come già affermato – richiede che l’Agenzia svolga la funzione che le è propria, vale a dire valutare e stimare il lavoro svolto dai verificatori.
Riteniamo positivo il consolidarsi di questo orientamento, anche se bisognerà comprendere come il medesimo possa essere declinato all’atto pratico; molto spesso, infatti, l’Amministrazione si aggancia a frasi stereotipate che servono proprio ad affermare quanto dovrebbe essere stato fatto, anche se poi tale attività materialmente non viene svolta.
Una cosa è certa: l’avviso di accertamento non può essere una fotocopia del PVC, salvo che l’Ufficio non spieghi i motivi per cui condivide in toto l’operato del verificatore.