Niente presunzione sui prelievi bancari per il socio amministratore
di Angelo GinexIn tema di accertamento da indagini finanziarie, la presunzione sui prelevamenti di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R 600/1973, a seguito della sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, che ne ha limitato l’uso ai soli imprenditori, non trova applicazione nei confronti di colui che rivesta la posizione di lavoratore dipendente o comunque di socio e amministratore, non essendovi equivalenza tra la qualifica di amministratore e quella di imprenditore, dacché il rapporto che lega l’amministratore alla società è di “immedesimazione organica” e deve essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario “tout court”.
Sono queste le interessanti conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 37368, depositata ieri 30 novembre.
Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità trae origine dalla notifica a due soci e amministratori di una s.r.l. degli avvisi di accertamento da indagini finanziarie, che avevano evidenziato movimentazioni bancarie in contrasto con i redditi dichiarati.
Nei gradi di merito, i contribuenti risultavano soccombenti. In particolare, la Commissione regionale del Lazio, confermando la decisione dei giudici di prime cure, affermava che i contribuenti avevano conseguito soltanto redditi da lavoro subordinato o assimilabile, sicché l’Amministrazione finanziaria aveva legittimamente tenuto conto dello scostamento tra versamenti effettuati e redditi dichiarati, mentre le giustificazioni addotte dai contribuenti erano generiche.
I contribuenti proponevano pertanto ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, che gli avvisi di accertamento loro notificati fossero illegittimi in quanto fondati sulla presunzione sui prelevamenti di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973, che tuttavia è stata dichiarata incostituzionale per i lavoratori autonomi.
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la suddetta doglianza rammentando preliminarmente che, dopo la sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale, nei confronti dei lavoratori autonomi è arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.
In particolare, è stato precisato che la presunzione di cui all’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973, secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari non annotati contabilmente vanno imputati ai ricavi conseguiti nella propria attività dal contribuente, si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi o professionisti intellettuali, sicché in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 non è più sostenibile l’equiparazione tra attività di impresa e professionale per gli anni anteriori (cfr., Cass. sent. 11.11.2015, n. 23041).01
Sulla scia di tale premessa, la Cassazione ha affermato che: «a maggior ragione nel caso in esame che attiene alla posizione di lavoratore dipendente o comunque di socio e amministratore, può essere applicata solo la presunzione di reddito imponibile dei “versamenti”, ma non quella di prelevamenti”».
Al riguardo, è stato altresì precisato che la qualifica di amministratore non equivale a quella di imprenditore, dal momento che l’amministratore di società di capitali, ove ricorrano i presupposti, può svolgere anche attività di lavoro subordinato, e che il rapporto che lega l’amministratore alla società è di “immedesimazione organica” e deve essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario “tout court” (cfr., Cass. sent. 9.05.2019, n. 12308).
Quanto, poi, all’applicabilità della pronuncia di incostituzionalità, i giudici di vertice hanno affermato che gli effetti della dichiarazione di incostituzionalità del citato articolo 32 retroagiscono e si applicano anche ai rapporti giuridici non consolidati e non coperti da decisioni passate in giudicato (cfr. Cass. sent. 2.02.2021 n.2240).
Nel caso di specie, la pronuncia n. 228/2014 della Corte Costituzionale è intervenuta al termine dello svolgimento del processo di appello (rapporto processuale, quindi, non ancora esaurito), configurandosi in tal modo una situazione di “ius superveniens” che comporta la disapplicazione della norma dichiarata illegittima.
Peraltro, è stato rilevato che la stessa Agenzia delle Entrate ha ammesso nel controricorso che «gli avvisi di accertamento si sono fondati anche su prelevamenti», oltre che su «altri elementi».
La Corte di Cassazione ha pertanto cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione che «dovrà escludere dal computo della ripresa fiscale i “prelevamenti”».