Niente sottrazione fraudolenta se il patrimonio è capiente
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 13233 del 1.4.2016 la Corte di Cassazione ha ribadito che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte punito dall’art.11 del D.Lgs. n.74/00 ha natura di reato di pericolo poiché, a differenza di quanto era previsto dall’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui all’art. 97, co. 6, del D.P.R. n.602/73, per potersi ritenere configurato non è necessario che l’Amministrazione finanziaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo né che vi sia in corso una procedura di riscossione che sia stata pregiudicata, ma è sufficiente la mera idoneità della condotta a rendere inefficace, anche solo parzialmente, la procedura di riscossione.
Tuttavia, perché al contribuente possa essere contestato il delitto in esame, questi deve avere posto in essere condotte simulatorie o fraudolente (e non meri atti di disposizione dei propri beni, tutelati dal diritto di proprietà), inoltre il patrimonio deve avere subito un’effettiva depauperazione tale da ledere – anche potenzialmente e/o parzialmente – gli interessi dell’Erario.
La vicenda oggetto dell’interessante pronuncia vedeva un’imprenditrice indagata per il delitto punito dall’art.11, co.1, D.Lgs. n.74/00 per avere posto in essere una serie di operazioni immobiliari, in particolare la vendita una particella edificale ad una società svizzera con soci non identificabili, allo scopo presunto di sottrarre il bene alla procedura esecutiva promossa dall’Agenzia delle Entrate.
L’imprenditrice si era opposta al sequestro preventivo disposto anche sulla particella immobiliare oggetto di vendita, giungendo sino in Cassazione; in particolare, con il ricorso avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di riesame la contribuente eccepiva la carenza di indagini, da parte dei giudici del merito, in ordine all’effettiva esistenza del debito tributario a fronte della sentenza della Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano che aveva dichiarato l’illegittimità dell’avviso di accertamento con riferimento ad uno dei periodi di imposta in contestazione, nonché la mancanza dell’elemento psicologico del reato.
La Corte di Cassazione, dopo avere precisato che il momento consumativo del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’art.11 D.Lgs. n.74/00 non coincide con la data della pretesa evasione delle imposte al cui conseguimento mirano le condotte di alienazione simulata o di compimento di altri atti fraudolenti, ma con il momento in cui queste ultime siano state effettivamente poste in essere, chiarisce anche che si tratta di un reato di pericolo che si perfeziona quando il contribuente ponga in essere una condotta potenzialmente idonea a rendere inefficace, anche solo parzialmente, la procedura di riscossione; tale idoneità deve essere inoltre valutata dal Giudice con un giudizio ex ante.
Nel caso in esame, secondo la Cassazione, non avrebbe avuto rilevanza il fatto che la sentenza di primo grado, che peraltro non risultava neppure essere passata in giudicato, aveva annullato l’avviso di accertamento limitatamente ad uno dei periodi di imposta in contestazione, poiché tale circostanza non faceva venir meno il c.d. fumus del reato.
D’altra parte, però, i giudici di legittimità evidenziano “la necessità che la condotta volta alla sottrazione del bene si caratterizzi per la natura simulata dell’alienazione del bene o per la natura fraudolenta degli atti compiuti sui propri o sugli altrui beni: in altre parole, solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per tali modalità, strettamente tipizzate dalla norma, può essere idoneo a vulnerare le legittime aspettative dell’Erario posto che, diversamente, verrebbe sanzionata, in contrasto con il diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, ogni possibile condotta di disponibilità dei beni, allo stesso diritto di proprietà strettamente connaturata”.
Ma vi è di più: secondo la Cassazione, infatti, non è sufficiente che il contribuente ponga in essere condotte simulatorie o fraudolente, ma queste devono effettivamente essere idonee a cagionare un’effettiva potenziale lesione degli interessi dell’Erario; tale idoneità deve essere determinata anche tramite una valutazione dell’intero patrimonio del contribuente da rapportarsi alle pretese dell’Erario, che potrebbero risultare garantite con la restante parte del patrimonio.
La riduzione delle disponibilità del debitore deve avere quale conseguenza il rischio che la pretesa tributaria non possa essere più integralmente soddisfatta, altrimenti, rilevano i giudici “diverrebbe impossibile, se non integrando reato, per qualunque soggetto che fosse debitore verso l’Erario di una somma superiore ad Euro 50.000,00, e pur titolare di un patrimonio di gran lunga più consistente, compiere atti di disposizione del proprio patrimonio”.
Alla luce dei principi sopra esposti la Cassazione ha annullato l’ordinanza che aveva rigettato la richiesta di riesame in quanto non erano state motivate né la natura simulata dell’operazione, né l’idoneità dell’operazione a rendere totalmente o parzialmente inefficace la procedura di riscossione.
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