No al sequestro 231 se manca il pericolo di dispersione dei beni
di Luigi FerrajoliLa Corte di cassazione, Seconda Sezione Penale, con la sentenza n. 47640/2023 è tornata a pronunciarsi in materia di sequestro preventivo, disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari, del profitto diretto del reato, anche nella forma per equivalente, in caso di sottoposizione ad indagine di persone per delitti contro il patrimonio e per l’illecito amministrativo di cui all’articolo 24, D.Lgs. 231/2001.
Nel caso di specie, il Tribunale del riesame aveva accolto parzialmente il ricorso avanzato dalla società di capitali e dalla persona sottoposta ad indagini avverso il decreto di sequestro preventivo, nella parte in cui il provvedimento aveva disposto il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, confermando nel resto il provvedimento impugnato.
Contro questa decisione proponeva impugnazione la società di capitali, deducendo un difetto di motivazione in ordine al periculum in mora, in mancanza delle ragioni per cui, nel caso concreto, sarebbe sussistita una carenza delle garanzie patrimoniali o un pericolo che le stesse siano disperse, nonché violazione di legge per difetto di motivazione, con riguardo ai principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il secondo motivo infondato, perché attinente al profilo della sussistenza del reato contestato, più che al vizio di motivazione del provvedimento impugnato. La quantificazione delle somme oggetto di sequestro è stata, infatti, valutata come una conseguenza diretta delle modalità della condotta e, correttamente, non è stata dunque limitata ad una sola parte o ad una particolare frazione.
Diversamente, il Giudice di legittimità ha ritenuto fondato il primo motivo di doglianza, alla stregua delle seguenti considerazioni.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che, poiché il criterio su cui plasmare l’onere motivazionale del provvedimento di sequestro deve essere rapportato alla natura anticipatrice della misura cautelare, deve ritenersi corretto, con riferimento al sequestro che abbia ad oggetto cose profitto del reato, l’indirizzo che afferma la necessità che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato. Una esigenza, questa, rapportata alla ratio della misura cautelare e volta a preservarne, anticipandone i tempi, gli effetti, sul presupposto che, ove si attendesse l’esito del processo, gli stessi potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo. Vi è un parallelismo con il sequestro conservativo di cui all’articolo 316 c.p.p. che presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività delle statuizioni, anch’esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono.
E proprio in relazione al sequestro conservativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno evidenziato che, per l’adozione del medesimo, è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito. In particolare, è stato spiegato che è il parametro della “esigenza anticipatoria” della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il Giudice dovrà spiegare le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio.
Venendo al caso di specie, l’ordinanza del Tribunale del riesame ha affermato che la possibilità di dispersione conseguente al normale esercizio dell’attività è facilmente esperibile anche ove la società sia in bonis e non in condizioni di decozione perché i cespiti, oggetto di aggressione, potrebbero essere dispersi sia in relazione alla normale attività economica, sia alle possibili incertezze gestionali conseguenti anche al provvedimento di apprensione e all’indagine in corso.
Tuttavia, la motivazione deve dare conto di sufficienti elementi di plausibile indicazione del periculum, in particolare delle ragioni della impossibilità, nel caso concreto, di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, ragioni che non possono essere individuate in generici principi in tema di esercizio di attività commerciale, come avvenuto nel caso di specie.
Il Tribunale ha contravvenuto alla necessità di spiegare le ragioni della necessità, nel caso concreto, di adozione dell’ablazione provvisoria prima della pronuncia di condanna e, con essa, della statuizione di confisca, così incorrendo nel vizio di violazione di legge denunciato.
La Corte di cassazione ha, dunque, annullato l’ordinanza, con rinvio al Tribunale, sezione del riesame, per nuovo giudizio sul punto.