No all’acquisizione d’ufficio dell’avviso di ricevimento in originale
di Angelo GinexIn materia di notificazione degli atti tributari, il giudice di appello non può disporre l’acquisizione d’ufficio dell’avviso di ricevimento in originale di una raccomandata relativa ad un avviso di accertamento, fornito dalla controparte in copia fotostatica successivamente disconosciuta, qualora abbia ritenuto che lo stesso non sia stato prodotto, nemmeno tardivamente, nel giudizio di primo grado, stante l’abrogazione del potere istruttorio previsto dal previgente terzo comma dell’articolo 7 D.Lgs. 546/1992.
Questo è il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con ordinanza 3 ottobre 2018, n. 24153, nella quale la medesima è stata chiamata a sbrogliare la complessa controversia promossa da un contribuente avverso una cartella di pagamento relativa alla riscossione coattiva dell’ICI per l’anno 2002.
Nell’ambito del giudizio di primo grado il ricorrente eccepiva l’omessa notifica dell’avviso di accertamento prodromico alla cartella di pagamento impugnata. A fronte del deposito della copia fotostatica dell’avviso di ricevimento della raccomandata postale relativa al citato accertamento, il contribuente procedeva ad effettuare, con memoria tempestivamente depositata, il disconoscimento della conformità della copia all’originale. La controparte, dunque, esibiva durante l’udienza di discussione l’originale del documento de quo.
A seguito del rigetto del ricorso in primo grado, il contribuente proponeva appello innanzi alla competente Commissione tributaria regionale, la quale decideva in suo sfavore. Essa, partendo dal presupposto che la produzione dell’avviso di ricevimento in originale fosse da considerarsi come omessa, disponeva l’acquisizione d’ufficio dell’originale, ritenendolo un elemento presuntivo sufficiente a superare la contestazione relativa al disconoscimento della conformità.
Il contribuente decideva pertanto di proporre ricorso in Cassazione, articolando la propria difesa in due motivi: in primo luogo, contestava che l’irrituale esibizione dell’originale dell’avviso di ricevimento, avvenuta direttamente durante l’udienza di discussione in primo grado, potesse valere come elemento presuntivo di conformità all’originale della copia depositata e, in seconda battuta, lamentava l’illegittimità dell’acquisizione d’ufficio del documento in originale, in virtù dell’abrogazione del terzo comma dell’articolo 7 D.Lgs. 546/1992, intervenuta con il D.L. 203/2005, convertito in L. 248/2005.
La Suprema Corte ha effettuato una concisa, ma non per questo superficiale, disamina dei motivi eccepiti dal ricorrente, ritenendo opportuno trattarli congiuntamente poiché tra loro connessi.
La premessa che ha consentito di risolvere agevolmente la spinosa situazione processuale venutasi a creare consiste nel fatto che il giudice di appello ha ritenuto che la produzione dell’avviso di ricevimento in originale è da considerarsi come omessa, e non come irrituale o tardiva.
Nell’ipotesi in cui avesse ritenuto il documento depositato, seppur irritualmente, durante l’udienza di discussione nel giudizio di primo grado, il giudice di appello, in applicazione dell’articolo 58 D.Lgs. 546/1992, avrebbe potuto utilizzarlo ai fini della decisione, nonostante il mancato rispetto del termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione ai sensi dell’articolo 32 D.Lgs. 546/1992.
I giudici di seconde cure, ordinando l’acquisizione d’ufficio dell’originale, hanno sostanzialmente applicato una norma espunta oramai da tempo dal nostro ordinamento giuridico, ovvero l’articolo 7, comma 3, D.Lgs. 546/1992, in chiaro spregio alla nuova formulazione della legislazione processuale attualmente in vigore.
I corollari di siffatta considerazione sono che la decisione non poteva basarsi su detta acquisizione, a tutti gli effetti illegittima, e che i giudici tributari non potevano trarre alcuna presunzione di conformità della copia all’originale sulla base di un documento che essa stessa aveva reputato come non acquisito al processo, contrariamente ad una qualsivoglia logica giuridica e, più in particolare, all’articolo 2729 cod. civ..
I giudici di Piazza Cavour, dunque, hanno cassato la sentenza di secondo grado, rimettendo la causa alla Commissione tributaria regionale territorialmente competente, in diversa composizione. Essa, nella valutazione della predetta conformità, potrà adoperare altri elementi di prova, anche presuntivi, per accertare la rispondenza della copia all’originale, in modo tale da valutarne l’idoneità come mezzo di prova ex articolo 2719 cod. civ..
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