No al raddoppio dei termini anche per le vecchie voluntary
di Luigi FerrajoliLa sentenza n. 100/2/2016 della CTP Mantova ha avuto occasione di sancire l’illegittimità dell’applicazione retroattiva della sanzione per omessa compilazione del quadro RW in relazione ai periodi di imposta antecedenti l’entrata in vigore del D.L. n. 78/09 (ed in particolare dell’articolo 12 sul contrasto ai paradisi fiscali).
La vicenda concerneva l’impugnazione di un atto di irrogazione delle sanzioni per i periodi d’imposta dal 2003 al 2008 compreso, da parte di un contribuente che aveva spontaneamente regolarizzato la detenzione all’estero (Svizzera) del proprio patrimonio finanziario nella vigenza della L. n. 4/14 ed alla cui procedura erano state applicate dall’Ufficio le sanzioni nella misura individuata dalla L. n. 186/14, intervenuta nella pendenza del procedimento.
L’Ufficio, tuttavia, con l’impugnato atto aveva, in applicazione del principio del raddoppio dei termini, irrogato le corrispondenti sanzioni anche ai periodi di imposta anteriori l’emanazione della disciplina di cui al D.L. n. 78/09.
Il contribuente, dunque, lamentava che l’applicabilità alla fattispecie in esame della norma sopravvenuta (cioè della L. n. 186/14) fosse stata riconosciuta dall’Agenzia delle Entrate solamente in relazione alla entità della sanzione irrogabile, trascurando di considerare che tale disposizione ha espressamente escluso il raddoppio dei termini proprio in relazione alla fattispecie della collaborazione volontaria.
D’altronde, l’impossibilità di un’applicazione retroattiva della citata norma discenderebbe, nel pensiero del ricorrente, dall’impossibilità di ritenere applicabile la disposizione normativa tributaria a periodi d’imposta precedenti rispetto a quello di entrata in vigore della disposizione stessa.
Di pari avviso la CTP di Mantova che ha accolto il ricorso riconoscendo che: “se il contribuente non può essere tenuto a precostituire la prova che deve fornire se non in base al sistema normativo vigente al momento in cui si perfeziona la fattispecie, a maggior ragione non potrà essere applicata retroattivamente a suo sfavore la previsione di ampliamento dei termini per l’esercizio di un potere impositivo da contrastarsi con una prova siffatta”. Ad avviso del Collegio, la medesima conclusione a fortiori deve essere assunta in relazione alla fattispecie della omessa compilazione del quadro RW, in virtù del peculiare carattere afflittivo delle sanzioni che trova una diretta tutela nell’art. 25 della Costituzione.
Questo il ragionamento logico deduttivo seguito dalla Commissione di prime cure: la L. n. 186/14 intervenuta prima della emanazione dell’atto impugnato ha chiaramente escluso la possibilità di applicare il raddoppio dei termini nei casi in cui il ricorrente volontariamente disveli il patrimonio detenuto all’estero in Paesi che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore, sottoscrivano accordi con l’Italia (fatto pacificamente avvenuto per la Svizzera) e che, nel contempo, rilasci all’intermediario estero autorizzazione a trasmettere alle autorità finanziarie italiane tutti i dati concernenti le attività oggetto di collaborazione volontaria. Nell’applicare alla fattispecie in esame la norma sanzionatoria sopravvenuta della Legge n. 186/14, l’Agenzia delle Entrate ha omesso di considerare che tale disposizione, all’art. 1, nell’introdurre l’art. 5-quater co.4 del D.L. n. 167/90, ha espressamente escluso il raddoppio dei termini proprio in relazione alla fattispecie della collaborazione volontaria affermando testualmente: “ai soli fini della procedura di collaborazione volontaria, per la determinazione dei periodi d’imposta per i quali non sono scaduti i termini di accertamento e i termini di cui all’articolo 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, non si applica il raddoppio dei termini di cui all’articolo 12, commi 2-bis e 2-ter, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, qualora ricorrano congiuntamente le condizioni previste dall’articolo 5-quinquies, commi 4, primo periodo”.
L’articolo 12 del D.L. n.78/09 – per il quale, in deroga a ogni vigente disposizione di legge, si presumono costituiti (salvo prova contraria) mediante redditi sottratti a tassazione gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute, in violazione degli obblighi di dichiarazione previsti dall’art. 4 D.L. n.167/90, negli Stati o nei territori a regime fiscale privilegiato – ha natura sostanziale perché il contribuente può vincere la presunzione disciplinata dalla norma fornendo prova che i redditi accertati non siano proventi di evasione fiscale e, quindi, non può essere tenuto a precostituirsi una prova in tal senso nel momento in cui la legislazione vigente non preveda ancora quest’onere. Pertanto, in assenza di una previsione esplicita, la presunzione contenuta nell’art. 12 non può applicarsi retroattivamente. Del resto la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato che l’art. 3 L. n. 212 (Statuto del contribuente) “ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi”, e di conseguenza “va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista” (cfr.: Corte di Cass. Sentenze n. 25722/2009 e n. 11141/2011).
Per approfondire le problematiche relative al contenzioso tributario vi raccomandiamo il seguente master di specializzazione: