Non bastano i ragionevoli sospetti per legittimare l’accertamento
di Luigi FerrajoliQualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di costi esposti in fatture, asseritamente relative ad operazioni inesistenti, spetta alla medesima provare, anche mediante presunzioni, non tanto l’esistenza di un ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza dell’operazione economica, ma proprio l’inesistenza dell’operazione.
Solo qualora il Giudice ritenga che tali elementi abbiano i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza, costringerà il contribuente a provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Tali interessanti principi sono stati emessi dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 23065 dell’11.11.2015.
L’onere probatorio in materia di contestazioni di operazioni inesistenti ha subito un’interessante evoluzione nella giurisprudenza di legittimità, che è stato recentemente oggetto di studio da parte della Fondazione Nazionale dei Commercialisti ed alcuni rappresentanti alla Guardia di Finanza.
Nel Documento del 15.06.2015 è evidenziato, in particolare, come nella giurisprudenza comunitaria risulti da tempo consolidato il principio secondo cui il diritto alla detrazione dell’IVA, relativo a fatture soggettivamente inesistenti, non spetta solo quando il cessionario sia consapevole della natura soggettivamente inesistente dell’operazione intercorsa ovvero, usando la propria diligenza, avrebbe potuto ragionevolmente avvedersene (Corte Giust. UE, 6 settembre 2012, C-324/11).
Al disconoscimento della detrazione d’imposta, ritenuta dai giudici comunitari una deroga al principio generale della neutralità dell’IVA, consegue quindi l’attribuzione, in capo all’ente impositore, dell’onere di provare, anche per mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, che il contribuente, utilizzatore delle fatture soggettivamente inesistenti, sia stato consapevole, o avrebbe potuto esserlo in base all’ordinaria diligenza dell’operatore economico (cfr. Corte Giust. UE, 21 giugno 2012, C-80/11 e C-142/11).
L’Amministrazione finanziaria è quindi tenuta a dimostrare sia la fittizietà soggettiva della transazione, sia la mala fede (o la colpa grave) da parte del cessionario, la cui buona fede è, invece, presunta.
La Corte di Cassazione, dopo avere a lungo sostenuto che a fronte della contestazione di operazioni inesistenti fosse onere del contribuente dimostrare la propria buona fede, è recentemente addivenuta a conclusioni analoghe a quelle raggiunte dalla giurisprudenza comunitaria.
Con la sentenza n. 25779/2014 la Suprema Corte ha riconosciuto espressamente che l’orientamento di legittimità in forza del quale, a fronte della semplice contestazione del Fisco di operazioni inesistenti, era il contribuente a doverne dimostrare l’esistenza, è stato progressivamente e definitivamente superato.
La Cassazione ha quindi ribadito che, a fronte di una apparente regolarità contabile delle fatture contestate, spetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche tramite di presunzioni semplici, che si tratta di operazioni soggettivamente inesistenti, dimostrando che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione commessa dal fornitore.
Nella sentenza n. 20930/2014 la Suprema Corte ha chiarito che in tema di Iva, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni.
Di conseguenza, qualora l’Amministrazione finanziaria ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici:
- per le operazioni oggettivamente inesistenti, che le operazioni non sono state effettuate;
- per le operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore.
La Cassazione ha precisato inoltre che nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare), l’onere probatorio ricadente in capo all’Amministrazione può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello” (contraddistinta da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”) occorre che il Fisco dimostri gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente.
Tale impostazione è stata, come visto, confermata dalla giurisprudenza successiva che deve ritenersi pertanto ormai consolidata e costante.