Non è sindacabile la “opportunità” dei costi per servizi infragruppo
di Fabio LanduzziSe da una parte rientra fra i poteri dell’Amministrazione finanziaria compiere una valutazione di congruità dei costi esposti in bilancio e portati in deduzione del reddito imponibile e contestarne l’eventuale sproporzione rispetto ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, è dall’altra parte non consentito che tale attività si spinga sino a divenire un sindacato in merito alla opportunità del sostenimento di taluni costi nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa; un siffatto approccio sfocerebbe in una valutazione soggettiva della strategia aziendale dell’imprenditore, ovvero in un sindacato riferito all’assetto organizzativo ed economico della società, il che esula dai poteri di verifica consentiti all’Amministrazione finanziaria, quand’anche si tratti di costi sostenuti da un’impresa in esecuzione di un contratto stipulato con altra società dalla stessa controllata.
Questi alcuni dei concetti molto significativi affermati nella recente sentenza n. 10319 del 20 maggio 2015 della Corte di Cassazione, la quale si è occupata di un caso relativo ad una contestazione eccepita dall’Amministrazione finanziaria in ordine alla deducibilità dei costi sostenuti da un’impresa in conseguenza di un contratto di somministrazione di beni, a cui si associava la prestazione di servizi accessori, in favore di una propria controllata. Nello specifico la società madre, in forza della propria struttura organizzativa, era in grado di prestare a favore delle controllate servizi centralizzati per il rifornimento di merci in assortimento e per la loro rotazione, nonché attività accessorie di ricezione, stoccaggio, trasporto dei prodotti sino ai punti vendita gestiti dalle imprese affiliate. Le attività venivano quindi svolte secondo un contratto giuridicamente qualificato di somministrazione, e dietro il pagamento di un compenso la cui determinazione era basata sui costi effettivamente sostenuti dalla somministrante.
Eccepiva l’Amministrazione finanziaria che i costi relativi a tale contratto non sarebbero stati inerenti rispetto all’attività della somministrataria, in quanto estranei alla sua attività, e di conseguenza non sarebbero stati deducibili fiscalmente.
Le argomentazioni sviluppate nella sentenza della Suprema Corte, le quali avallano quanto già era stato affermato nei primi due gradi di giudizio, si basano in primo luogo sul riconoscimento della effettività delle prestazioni attraverso le quali l’impresa si assicurava di accedere all’assortimento dei prodotti della somministrante, e soprattutto alla fornitura costante di servizi logistici, con convenienza e stabilità dei prezzi applicati. Nei primi due gradi di giudizio, era quindi apparsa evidente l’oggettività e la congruità dei relativi costi, nonché la effettiva utilità ed il vantaggio tangibile ottenuto dall’impresa.
La Cassazione, nel confermare le sentenze di merito dei due gradi precedenti, ricostruisce il rapporto contrattuale a partire dalla intenzione delle parti di mettere in comune una serie di funzioni operative e di servizi, utilizzando la struttura organizzativa della controllante; evidente appare tutta la convenienza nel servirsi dei magazzini centralizzati della casa madre e nei suoi servizi logistici. Da qui, la Suprema Corte riconosce che in tema di imposte sui redditi affinché un costo sia riconosciuto deducibile per l’impresa non è necessario che lo stesso sia sostenuto per ottenere una precisa componente attiva, bensì è sufficiente che lo stesso sia correlato all’impresa in senso ampio, ovvero è sufficiente che sia “sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili”.
Interessante è poi la chiosa finale contenuta nella sentenza in commento, laddove si sottolinea che l’inerenza è un concetto di origine economica, in relazione alla cui sussistenza, ove si abbia riguardo a spese intrinsecamente necessarie alla produzione del reddito dell’impresa, non incombe alcun onere della prova in capo al contribuente (Cassazione, sentenza n.6548/2012).