Non imponibilità IVA dei servizi di trasporto di beni in importazione
di Marco PeiroloLa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23034 dell’11 novembre 2015, ha affermato che la non imponibilità, per i servizi connessi agli scambi internazionali di beni di cui all’art. 9, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972, con specifico riguardo ai “trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma dell’art. 69, comma 1”, si giustifica perché la prestazione corrispondente alla tratta nazionale – che, in ragione del principio di territorialità, costituirebbe un’operazione imponibile – è stata già oggetto di tassazione in dogana, siccome le spese di inoltro fino al luogo di destinazione (all’interno del territorio della UE) concorrono a formare la base imponibile ai fini della dichiarazione di valore che l’importatore è tenuto a rendere all’atto dello sdoganamento dei beni importati.
La previsione di non imponibilità di tali corrispettivi è, quindi, diretta a scongiurare che la medesima prestazione sia tassata due volte, dapprima in sede doganale e poi in sede di effettuazione del trasporto, allorché l’imposta diviene esigibile.
Come specificato dai giudici di legittimità, è onere del vettore dimostrare che la relativa prestazione, avendo formato oggetto di dichiarazione doganale, è già stata sottoposta a tassazione; se è vero, infatti, che la non imponibilità intende evitare il rischio di una doppia imposizione, la stessa non può finire per legittimare l’indebita sottrazione di materia imponibile. In tale contesto assume, pertanto, rilevanza se il trasporto sia stato convenuto:
- “franco confine”, nel qual caso le spese relative, da dichiarare in sede doganale, corrisponderanno solo al costo del trasporto dal luogo di partenza fino all’ingresso nel territorio dello Stato, mentre il successivo trasporto dal confine alla destinazione finale costituisce un’operazione imponibile, ovvero
- “franco destinazione”, comprensivo cioè anche del servizio corrispondente alla tratta territoriale, nel qual caso le spese relative, da dichiarare ai fini doganali, sono quelle occorrenti per l’inoltro dei beni fino al luogo di destinazione finale.
In conclusione, solo le importazioni “franco destino” legittimano la non imponibilità delle prestazioni di trasporto, in quanto le relative spese rilevano ai fini della determinazione dell’imposta da assolvere in dogana.
Il rischio della doppia imposizione non si pone per le importazioni “franco destino” che siano, però, soggette a franchigia doganale siccome di valore trascurabile (cd. “piccole spedizioni”, di valore inferiore a 22 euro, ex art. 5 del D.M. n. 489/1997), ovvero perché oggetto di “piccole spedizioni prive di carattere commerciale”, ex art. 7 del D.M. n. 489/1997.
Il dubbio è stato risolto dalla L. n. 115/2015 (legge europea 2014), il cui art. 12, entrato in vigore il 18 agosto 2015, ha modificato l’art. 9, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, aggiungendo il n. 4-bis), che considera non imponibili “i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta”.
La previsione in esame, sollecitata dalla Commissione europea a seguito della procedura di infrazione n. 2012/2088 avviata nei confronti dello Stato italiano, mette quindi in luce che la non imponibilità dei servizi di trasporto dei beni importati in franchia doganale opera a prescindere dal concreto ed effettivo assoggettamento ad imposta in dogana dei beni stessi.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 9150 del 6 maggio 2016, ha ritenuto che resti da chiarire se la normativa nazionale vigente prima della modifica intervenuta nel 2015 sia compatibilità con l’art. 144 della Direttiva n. 2006/112/CE, in base al quale “gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile, conformemente all’art. 86, paragrafo 1, lett. b)”, il quale a sua volta dispone che “devono essere compresi nella base imponibile, ove non vi siano già compresi”, tra l’altro, “le spese accessorie quali le spese di (…) trasporto (…) che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato membro d’importazione”.
In altri termini, occorre verificare la compatibilità con l’ordinamento comunitario del combinato disposto delle norme interne di cui agli artt. 9, comma 1, n. 2), e 69, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972, laddove essi – ai fini della non imponibilità dei corrispettivi per i servizi di trasporto connessi agli scambi internazionali – pongono una condizione ulteriore, rispetto agli artt. 144 e 86 della Direttiva n. 2006/112/CE, pretendendo non solo che le spese di inoltro fino al luogo di destinazione siano incluse nella base imponibile dell’IVA all’importazione, ma anche che le stesse siano in concreto assoggettate ad imposta, perciò escludendo la non imponibilità – nonostante la loro accessorietà – in tutti i casi in cui si tratti di importazioni di beni a loro volta non imponibili, come appunto per i beni di valore trascurabile e per quelli privi di carattere commerciale.