Non riqualificabile in cessione di terreno edificabile la vendita del fabbricato poi demolito
di Angelo GinexIn tema di imposte sui redditi, la cessione di un fabbricato non può essere riqualificata in cessione di terreno edificabile per il sol fatto che prima di tale vendita l’acquirente abbia manifestato l’intenzione di demolire il fabbricato e costruire un complesso residenziale. Conseguentemente, non è possibile porre a carico del venditore di detto fabbricato una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata.
Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 16374, depositata ieri 10 giugno.
La vicenda in esame prende le mosse dalla compravendita di un fabbricato, che era stata preceduta dalla presentazione da parte dell’acquirente di una dichiarazione di inizio attività finalizzata alla demolizione dello stesso e alla successiva costruzione di un complesso residenziale. Ritenendo di essere in presenza di una vendita di terreno edificabile e, quindi, di dover assoggettare a tassazione separata la relativa plusvalenza, l’Amministrazione finanziaria notificava ai venditori di detto fabbricato due avvisi di accertamento con cui riprendeva a tassazione tale plusvalenza, determinata ai sensi dell’articolo 68, commi 1 e 2, Tuir.
In seguito alla notifica di detti avvisi, i venditori proponevano ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rilevava la violazione degli articoli 1, 2 e 3 L. 212/2000 poiché il Comune aveva applicato in maniera retroattiva l’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006, trattandosi di norma entrata in vigore successivamente all’atto di compravendita del fabbricato. Seguiva atto di appello da parte dell’Agenzia delle entrate, che veniva accolto dalla Commissione tributaria regionale.
Pertanto, i venditori proponevano ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 67, comma 1, lett. b) Tuir e dell’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006.
In particolare, questi sostenevano che l’Agenzia delle Entrate avesse errato nel riqualificare l’oggetto della compravendita da fabbricato ad area edificabile per il solo fatto che prima della compravendita era stata presentata una D.I.A avente ad oggetto la demolizione dell’immobile esistente e la costruzione di un edificio residenziale. Era invece da ritenere corretto quanto affermato dai giudici di primo grado in relazione alla inapplicabilità, al caso di specie, dell’articolo 67, comma 1, lett. b), Tuir e dell’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006, atteso che la presentazione della D.I.A. per la demolizione della villetta e la costruzione di un nuovo edificio non poteva far ritenere che oggetto della cessione fosse un’area edificabile: la previsione del comportamento dell’acquirente non poteva assurgere a condotta sufficiente a variare la natura del bene ceduto.
Infine, dal momento che la cessione del fabbricato era avvenuta oltre cinque anni dopo l’acquisto, non poteva applicarsi la lett. b) dell’articolo 67 citato, né l’articolo 36, comma 2, D.L. 223/2006, per le stesse conclusioni addotte in primo grado.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibili le suddette doglianze rammentando, preliminarmente, che l’articolo 67 Tuir non è applicabile alle cessioni aventi ad oggetto un terreno sul quale sorge già un fabbricato, dovendosi applicare, invece, solo ai terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria.
Infatti, l’entità sostanziale del fabbricato non può essere mutata in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e, soprattutto, la cui realizzazione (nel caso di specie attraverso la demolizione del fabbricato) è futura (rispetto all’atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla potestà di soggetto diverso (l’acquirente) da quello interessato dall’imposizione fiscale (cfr. ex multis Cass. ord. 12.04.2019, n. 10393; Cass. ord. 6.09.2019, n. 22409).
Sul punto, la Corte di Cassazione ha affermato testualmente che: «non è quindi possibile porre a carico del venditore dell’edificio sorto sul terreno (già) edificabile una (affermata) plusvalenza anche solo commisurata all’ulteriore capacità edificatoria non (ancora) sviluppata, perché si tratterebbe di porre su un soggetto diverso (il venditore) una tassazione che il legislatore ha già fissato in capo al compratore. Né si deve pensare che in tal modo il venditore si sottragga ai propri obblighi fiscali: infatti, nel prezzo di cessione dell’edificio, come nella rendita catastale, è computata anche la capacità edificatoria inespressa».
Peraltro, a tale orientamento della Suprema Corte si è altresì uniformata, di recente, la stessa Agenzia delle Entrate che, con circolare n. 23/E/2020 ha escluso che, ai fini della tassazione delle plusvalenze, la cessione di un edificio possa essere riqualificata come cessione del terreno edificabile e che, in particolare, elementi di fatto come l’avvenuto rilascio del permesso di demolizione e di ricostruzione non possono qualificare la cessione di un fabbricato come una cessione di terreno, con conseguente tassazione della plusvalenza.
Sulla scorta delle suesposte argomentazioni, dunque, i Giudici di vertice hanno cassato la sentenza impugnata e accolto gli originari ricorsi dei contribuenti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.