Non sempre cassa allargata per la deduzione dei compensi amministratori
di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLe regole fiscali che disciplinano la deduzione dei compensi erogati agli amministratori di società di capitali sono contenute nell’art. 95, co. 5, del TUIR, secondo cui i compensi in questione sono deducibili nell’esercizio in cui sono effettivamente corrisposti, ossia in base al criterio di cassa (sia pure quasi sempre “allargata”, come si vedrà meglio in seguito). Il riconoscimento di un compenso, a beneficio dell’amministratore, è demandato in linea generale alla delibera dei soci, partendo dal presupposto che l’attività gestoria si presume a carattere oneroso. In tale ambito, si pensi soprattutto alle s.r.l. connotate, in base allo statuto, alla struttura societaria ed alla composizione dell’organo amministrativo, da un assetto tipicamente personalistico, in cui l’amministrazione è affidata, in via esclusiva, a tutti i soci. Al ricorrere di questa ipotesi, non è dovuto un compenso per la funzione gestoria, in quanto da ritenersi ricompreso nella quota di partecipazione agli utili definita dall’atto costitutivo. In senso conforme, si riscontra anche la consolidata posizione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è efficace la previsione statutaria di gratuità dell’esercizio delle funzioni di amministratore: il principio dell’onerosità della carica è, infatti, stabilito per i sindaci, a norma degli artt. 2364, co. 1, n. 3, e 2402 c.c., ma non per gli amministratori (Cass. 31 maggio 2008, 14640). Con l’effetto che, qualora l’atto costitutivo riconosca esclusivamente un’indennità per lo svolgimento di particolari incarichi, l’amministratore matura il diritto al compenso soltanto se dimostra l’effettuazione di attività eccedenti i compiti propri del suo mandato, ovvero non riconducibili alla funzioni rappresentative e di spettanza (Cass. 1° aprile 2009, n. 7961).
Le modalità e i criteri di determinazione del compenso spettante agli amministratori devono essere stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea dei soci, come previsto – nel caso delle s.p.a. – dall’art. 2389 c.c. (analogicamente applicabile anche alle s.r.l.). In altri termini, il compenso deve essere espressamente deliberato, sulla base di una esplicita decisione in tal senso, non essendo possibile invocare un’implicita scelta dei soci, in occasione dell’approvazione del bilancio: infatti, secondo la Cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza 29 agosto 2008, n. 21933) non è infatti sufficiente che la nota integrativa contenga la voce “compenso amministratori”, e il relativo importo. Diversamente, si violerebbero le norme imperative in materia di competenza degli organi sociali e di tutela dei diritti di informazione dei soci e dei terzi.
Sotto il profilo fiscale, in deroga al generale criterio di competenza, sul quale è fondata la determinazione del reddito d’impresa, l’art. 95, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986 stabilisce che il costo relativo al compenso degli amministratori persone fisiche è deducibile, da parte dell’impresa gestita, nel periodo d’imposta in cui lo stesso è effettivamente erogato (c.d. principio di cassa). La norma ha natura antielusiva, in quanto si pone l’obiettivo di evitare che gli amministratori, soprattutto in società a struttura prettamente familiare, si assegnino compensi con il solo obiettivo di ridurre il reddito imponibile della società. L’operatività della disposizione in parola è, tuttavia, differente, a seconda della natura del soggetto incaricato della gestione dell’impresa:
- amministratore “professionista” (C.M. 12 dicembre 2001, n. 105/E): il compenso è fiscalmente deducibile, in capo all’impresa gestita, nel periodo d’imposta della corresponsione, e rappresenta un reddito imponibile per l’amministratore, nell’anno dell’effettiva percezione (c.d. principio di cassa ristretto);
- amministratore “lavoratore dipendente”: l’onorario rileva, in sede di determinazione del reddito d’impresa, anche se corrisposto successivamente alla chiusura del periodo d’imposta, ma non oltre il 12 gennaio (C.M. 18 giugno 2001, n. 57/E), a norma dell’art. 51, co. 1, del Tuir, disciplinante il reddito maturato da tale tipologia di rapporto (c.d. principio di cassa allargato).
I compensi erogati sotto forma di partecipazione agli utili sono deducibili nell’esercizio di pagamento anche se non imputati al conto economico (art. 95, co. 5, del Tuir). Anche gli eventuali acconti riconosciuti all’amministratore, in base allo statuto o a delibera assembleare, assumono rilevanza nell’anno di corresponsione, purchè abbiano natura di costo maturato per la società e non costituiscano semplicemente dei crediti. La loro deducibilità è subordinata al fatto che ne sia certa l’esistenza e determinabile in modo obiettivo l’ammontare (art. 109, co. 1, del Tuir): il verbale di assemblea costituisce un elemento valido a configurarne l’esistenza e la determinabilità.