16 Dicembre 2014

Non sempre la prevalenza è sinonimo di reddito agrario

di Luigi Scappini
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In un precedente intervento ci siano occupati di analizzare i requisiti che la disciplina fiscale richiede affinché un’attività possa essere considerata quale connessa a quelle agricole, con conseguente tassazione del reddito su base catastale ai sensi dell’art. 32 e seguenti del Tuir.

L’analisi prendeva spunto da quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 25/E/2014 con cui ha anticipato come l’azione di controllo e accertamento sarà focalizzata “tenendo conto prioritariamente delle imprese che svolgono le c.d. “attività connesse (manipolazione, commercializzazione e trasformazione) aventi ad oggetti prodotti agricoli acquistati prevalentemente da terzi”.

Ancoro prima di riprendere alcuni concetti espressi nel precedente intervento ed espanderne altri, pare utile precisare come, per poter parlare di attività connesse a quelle cd. agricole principali, vi deve essere coincidenza soggettiva, cioè, colui che svolge le “presunte” attività connesse dovrà, in primis, essere un imprenditore agricolo come definito dall’art. 2135 Cod. Civ.. In caso contrario non si potrebbe avere alcuna connessione, venendo a mancare il presupposto base.

Una volta soddisfatto il requisito soggettivo, per comprendere le modalità di tassazione di tali attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione è necessario, ancor prima di accertare la sussistenza della prevalenza richiesta dalla norma fiscale, verificare se l’attività svolta ricada tra quelle contemplate nel decreto ministeriale che, come previsto dall’articolo 32 del Tuir, dovrebbe essere emanato con cadenza biennale.

Infatti, se le attività esercitate vi rientreranno, a quel punto si potranno verificare le seguenti fattispecie:

  • rispetto della prevalenza con conseguente assoggettamento a reddito agrario dell’attività connessa;
  • mancato rispetto della prevalenza, nel qual caso opera la cd. Franchigia, per cui sono reddito agrari quelli derivanti dall’attività connessa nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo o del valore normale delle stesse, mentre, per l’eccedenza, il reddito sarà di impresa e quindi determinato analiticamente ex art. 56 del Tuir.

Al contrario, se l’attività non è ricompresa nell’elenco di cui al decreto ministeriale (l’ultimo cui fare riferimento è quello datato 17 giugno 2011), in caso di rispetto del principi della prevalenza si avrà accesso alla tassazione forfettizzata come prevista dall’articolo 56-bis, comma 2 Tuir, come introdotto con D. Lgs. n. 99/2004, e quindi in misura pari al 15% del volume d’affari Iva. Nel caso, invece, di mancato rispetto del principio della prevalenza, l’intero reddito prodotto è da considerarsi quale di impresa, con sua conseguente determinazione su base analitica.

Queste sono le regole generali, ma, circostanza che spesso non viene presa in considerazione e che in questa sede si intende evidenziare, è che non tutte le attività di cui al comma 3 dell’art. 2135 Cod. Civ. danno origine, nel rispetto della prevalenza, a un reddito agrario.

Come affermato dall’Agenzia delle Entrate nella nota Circolare n. 44/E/2004, la mera conservazione, commercializzazione e valorizzazione, prese singolarmente a in via autonoma, non potranno mai sfociare in un reddito agrario quando hanno a oggetto beni acquistati presso terzi, ma, in ragione dell’assenza del requisito della connessione, determineranno sempre e soltanto un reddito di impresa ai sensi dell’articolo 56 del Tuir. Tale regola, si precisa, non ha effetto nell’ipotesi in cui oggetto delle attività richiamate siano prodotti propri, nel qual caso si sarà sempre in presenza di un reddito agrario.

Ma cosa si intende per trasformazione e per manipolazione?

Ai fini di una loro definizione, torna utile una vetusta Circolare ministeriale del 1° giugno 1955, la n. 351690, ove la trasformazione viene definita come quell’operazione a mezzo della quale un prodotto originario, per effetto della lavorazione, modifica e perde le caratteristiche merceologiche originarie, quale può essere la trasformazione dell’uva in vino o del latte in formaggio.

Al contrario, si avrà manipolazione quando il prodotto, nonostante una o più lavorazioni, mantiene le caratteristiche merceologiche originarie. Esempio di manipolazione è, secondo la datata circolare “la cernita, l’essicamento e l’imbottamento delle foglie di tabacco”.

Più di recente, la Circolare n. 44/E/2004 ha portato quale esempio la rivendita di carote, da parte di un produttore di radicchio, previa pulizia e confezionamento.

Infine, si segnala come vi siano alcune lavorazioni che, pur rientrando a tutti gli effetti tra quelle di trasformazione, non danno origine a un reddito agrario e non permettono nemmeno la determinazione forfettaria del reddito ex art. 56-bis in quanto “non usualmente esercitate nell’ambito dell’attività agricola, che intervengono in una fase successiva a quella che ha originato i beni elencati nel decreto ministeriale, atte a trasformare ulteriormente questi ultimi beni fino a realizzare nuovi, che non trovano connessione con l’attività agricola principale ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile”.