Non sempre la vendita del legno trova copertura nel reddito agrario
di Luigi ScappiniLa CTP di Salerno, con due sentenze gemelle, la n. 2510/III/2018 e la n. 2511/III/2018, si è occupata di definire la natura reddituale della vendita di legno, approdando a conclusioni condivisibili.
Il contenzioso nasceva dal corretto inquadramento reddituale dell’attività consistente nel taglio del bosco e nella successiva vendita del legno ottenuto.
In particolare, a parere dell’Agenzia delle entrate tale attività doveva essere inquadrata tra i redditi diversi e nello specifico tra quelli derivanti da attività di natura commerciale svolte non abitualmente (articolo 67, comma 1, lett. i), Tuir, mentre il contribuente perorava l’inclusione del reddito tra quelli fondiari in quanto l’attività doveva essere considerata agricola.
Come noto, il 2001 rappresenta l’anno di rottura per quanto riguarda la definizione di “agricoltura”, in quanto, a seguito della riscrittura dell’articolo 2135 cod. civ., si assiste al passaggio da una concezione strettamente e indissolubilmente legata al fondo a un’idea di attività agricola che può anche non fruirne.
Al contempo, il D.Lgs. 228/2001 porta con sé anche l’introduzione del concetto di ciclo biologico.
L’articolo 2135, comma 1, cod. civ. individua quali attività agricole ex se la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali, per poi, al successivo comma 2, definire tali attività come quelle “dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale”.
Ecco che allora l’imprenditore agricolo passa dall’essere un soggetto tendenzialmente statico che cura il ciclo fino alla raccolta dei frutti a uno che, al contrario, si contraddistingue per la dinamicità, traducibile come intervento anche in una fase parziale della produzione, sia essa vegetale o animale.
Fatte queste premesse, si rende necessario comprendere se il taglio del bosco e la successiva rivendita dei prodotti ottenuti possa considerarsi quale selvicoltura.
Esistono diversi concetti di selvicoltura:
– generale, consistente nello studio delle relazioni che sussistono tra il bosco e l’ambiente in cui è ubicato, l’evoluzione della foresta, le modalità di impianto, di rinnovazione del bosco e l’utilizzo del suolo e
– speciale, intesa come studio delle esigenze ecologiche e delle tecniche colturali delle singole specie arboree.
Al contempo la selvicoltura può ancora differenziarsi tra:
– scientifica, relativa alla conservazione dell’ecosistema forestale e
– agronomica. Quest’ultima è quella che si avvicina maggiormente a un concetto di imprenditorialità, in quanto rimanda a una vera e propria attività “produttiva” ottenuta come risultato di una serie di interventi necessari a completare un ciclo biologico o una sua fase essenziale. In altri termini, la selvicoltura consiste nell’impianto, riproduzione, conservazione e sfruttamento razionale dei boschi al fine di produrre legno e biomasse.
Tale definizione “combacia” con quella introdotta con il nuovo Testo unico in materia di foreste e di filiere forestali (D.Lgs. 34/2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 92 del 20 aprile 2018).
In particolare, l’articolo 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. 34/2018 definisce quali pratiche selvicolturali “i tagli, le cure e gli interventi volti all’impianto, alla coltivazione, alla prevenzione di incendi, al trattamento e all’utilizzazione dei boschi” nonché alla produzione di “tutti i prodotti di origine biologica ad uso alimentare e ad uso non alimentare, derivati dalla foresta o da altri terreni boscati e da singoli alberi”.
In ragione di ciò, per stabilire se la vendita del legno possa considerarsi quale attività riconducibile alla selvicoltura o meno, si dovrà aver riguardo alle attività svolte a monte.
Infatti, il semplice disboscamento (taglio) non si potrà mai considerare attività agricola perché manca il requisito del ciclo biologico; mentre invece può considerarsi agricola la raccolta della legna posta in essere dallo stesso selvicoltore al fine di fornire materiale alla lavorazione industriale o artigianale; o anche la prima lavorazione della stessa legna.
In altri termini, come correttamente affermato dai giudici salentini, è sempre necessario “comprendere se a monte sussista un’opera del silvicoltore che porti le piante alla maturità ed al taglio, ovvero che prima dell’estrazione del legname siano state svolte delle attività mirate alla riproduzione e alla conservazione del bosco nella sua consistenza e nelle sue caratteristiche” in quanto solamente al verificarsi di tali attività preliminari, la successiva vendita troverà copertura nel reddito agrario di cui all’articolo 32 Tuir.
In caso contrario, l’attività di vendita di vendita del legno ha natura commerciale e, se svolta occasionalmente, è riconducibile tra i redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lett. i), Tuir.
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