Note di credito nei casi di risoluzione contrattuale causata dal mancato pagamento
di Luca CaramaschiIl tema delle note di variazione in diminuzione o, più comunemente, delle “note di credito”, rappresenta da alcuni anni, soprattutto a seguito delle modifiche che si sono succedute nel testo della disposizione (l’articolo 26 del Decreto Iva) a partire dal 1° gennaio 2016, un argomento sul quale l’Agenzia delle entrate ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente, anche in considerazione dei riflessi operativi e degli effetti anche economici che la disposizione determina.
Un tema spesso dibattuto è quello relativo alla possibilità di emettere la nota di credito nei casi di risoluzione contrattuale dovuta all’inadempimento del cliente.
Ai sensi del comma 9 dell’articolo 26 del Decreto Iva “Nel caso di risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di cui al comma 2 [emissione di nota di variazione in diminuzione senza limiti temporali] non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.
La richiamata disposizione, pertanto, rappresenta una specificazione dell’ipotesi di risoluzione contrattuale, riferita al caso dell’inadempimento, disciplinata dallo stesso articolo 26 nel precedente comma 2 laddove si afferma in generale che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di …, risoluzione, …, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.
Tuttavia, nei casi in cui l’inadempimento consiste nel mancato pagamento da parte del cliente (situazione assai frequente) si attiva da parte del fornitore un’ulteriore possibilità prevista dal citato articolo 26 e disciplinata dal comma 3-bis che recita “La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente”, a prescindere dal caso delle procedure concorsuali, “…… b) a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”.
Requisito dell’infruttuosità che deve essere dimostrato dal contribuente interessato al fine di poter emettere la nota di credito (che si ricorda è facoltativa), in primis verificando le ipotesi (non tassative) di infruttuosità legale previste dal comma 12 dell’articolo 26 del Decreto Iva che recita: “Ai fini del comma 3-bis, lettera b), una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:
a) nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
b) nell’ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità”;
c) nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità”.
Per diverso tempo, o quanto meno fino alle modifiche in vigore dal 1° gennaio 2016, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che nel caso di risoluzione contrattuale per inadempimento consistente nel mancato pagamento della prestazione, l’emissione della nota di credito fosse possibile solo dopo aver verificato l’infruttuosità della procedura di recupero e, quindi, non possibile solo a seguito della mera risoluzione contrattuale dovuta all’inadempimento.
Con riferimento a questa particolare ipotesi disciplinata dall’articolo 26 D.P.R. 633/1972 l’Agenzia delle entrate ha avuto modo di pronunciarsi di recente, fornendo importanti indicazioni sotto il profilo operativo, con la risposta all’interpello n. 386 del 20.07.2022.
Dopo aver ribadito, infatti, che la possibilità di invocare la risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto), ai fini di operare la variazione in diminuzione riconosciuta dai commi 2 e 9 dell’articolo 26 del Decreto Iva, rappresenta una facoltà riconosciuta al creditore, riconosce altresì la possibilità di rinunciare a detto beneficio, scegliendo, invece, nell’ipotesi di avvio di una procedura concorsuale o esecutiva, di operare la variazione in diminuzione alle condizioni stabilite dal comma 3-bis (introdotto nell’articolo 26 del decreto Iva dall’articolo 18, comma 1, lettera b, D.L. 73/2021, c.d. Decreto Sostegni-bis, convertito con modificazioni dalla L. 106/2021).
Il principio espresso dall’Agenzia
La risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto) o l’avvio della procedura esecutiva sono due percorsi tra loro alternativi ai fini di operare la variazione in diminuzione, essendo:
- il primo una facoltà riconosciuta al creditore che non intenda procedere in via esecutiva per recuperare il proprio credito, ritenendo l’iniziativa poco proficua;
- il secondo la decisione del creditore di avviare l’azione esecutiva, rinunciando al suo diritto di invocare la risoluzione contrattuale quale presupposto per emettere la nota di credito dovendo, quindi, a tal fine attendere l’esito infruttuoso della procedura.
Infine, vi sono due ulteriori principi affermati dall’Agenzia nel recente documento di prassi.
Il primo (non nuovo ma spesso “dimenticato” dagli operatori nella prassi operativa), attiene alle modalità di emissione della nota di credito nel caso in cui, tanto a seguito del caso della risoluzione contrattuale quanto a seguito della successiva procedura esecutiva dichiarata infruttuosa, si arrivi ad ottenere un incasso parziale del credito interessato; in questo caso (l’istante era riuscito ad incassare somme indistintamente imputabili a spese legali per le azioni intraprese, interessi, accessori e per il residuo a capitale), detti importi, riconducibili comunque per natura al corrispettivo non percepito, devono secondo l’Agenzia formare oggetto di fatture autonome e distinte da emettere nei confronti dell’originario debitore al momento dell’incasso e ripartite proporzionalmente tra imponibile ed imposta.
Il secondo, riferito al caso della risoluzione determinata dal sopravvenuto accordo tra le parti; in detta ipotesi, precisa l’Agenzia, la variazione in diminuzione è consentita unicamente entro un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile come precisato nel comma 3 del più volte citato articolo 26 e l’importo recato dalla nota di credito dovrà essere pari alla somma oggetto di rinuncia all’incasso per effetto dell’accordo transattivo, sempre ripartita proporzionalmente tra imponibile ed imposta.