9 Ottobre 2024

Novità dalla Riforma fiscale per il riporto delle perdite nelle operazioni straordinarie

di Fabio Giommoni
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In attuazione dei principi dettati dalla Legge delega per la Riforma fiscale, lo schema di Decreto di Riforma dell’Irpef e dell’Ires presentato in CdM il 30 aprile scorso introduce importanti novità in merito ai limiti di riportabilità delle perdite fiscali previsti in caso di cessione del controllo della società (articolo 84, comma 3, Tuir) e in caso di fusioni e scissioni (articoli 172 e 173, Tuir).

In particolare, in entrambi i casi il limite quantitativo di riporto delle perdite viene parametrato al valore corrente del patrimonio della società e non più esclusivamente al patrimonio netto contabile.

Viene, inoltre, precisato l’ambito temporale di applicazione del test di vitalità economica nella fusione, ricomprendendo anche il c.d. periodo “interinale”.

Infine, vengono esclusi i limiti di riporto per le perdite conseguite nei periodi di imposta in cui le società partecipanti alla fusione facevano parte dello stesso gruppo e per le perdite c.d. “omologate”.

 

Premessa

La lettera e) dell’articolo 6, comma 1, L. 111/2023 (“Legge delega per la Riforma fiscale”) disciplina il riordino del regime di compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali e di circolazione di quelle delle società partecipanti alle operazioni straordinarie, dettando i seguenti principi:

a) tendenziale omogeneizzazione dei limiti e delle condizioni di compensazione delle perdite fiscali previsti dal Tuir;

b) modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario, e revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell’attività principale esercitata;

c) definizione delle “perdite finali” ai fini del loro riconoscimento nell’ordinamento nazionale secondo i principi espressi dalla giurisprudenza degli organi giurisdizionali dell’Unione Europea.

Il riordino della disciplina di riporto delle perdite fiscali, secondo le linee guida della Legge delega, verrà attuato con l’emanazione del D.Lgs. di revisione dell’Irpef e dell’Ires, il cui schema preliminare è stato presentato in CdM il 30 aprile 2024 (d’ora in poi “schema di Decreto”).

 

Novità per il riporto delle perdite fiscali in caso di fusioni e scissioni

L’articolo 16, comma 1, lettera b), dello schema di Decreto per la revisione dell’Irpef e dell’Ires prevede importanti novità in materia di riporto delle perdite fiscali (e delle eccedenze Ace e di interessi passivi indeducibili ex articolo 96, Tuir[1]) nelle operazioni di fusione e scissione.

Le norme attualmente vigenti, rappresentate, rispettivamente per la fusione e la scissione, dall’articolo 172, comma 7, e dall’articolo 173, comma 10, Tuir, stabiliscono, in estrema sintesi, che le perdite fiscali (come le eccedenze Ace e le eccedenze di interessi passivi indeducibili) possono essere riportate alle seguenti condizioni:

  1. per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi dell’articolo 2501-quater, cod. civ., senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa (c.d. “limite del patrimonio netto” o “test del patrimonio netto” o “equity test”);
  2. allorché dal Conto economico della società le cui perdite sono oggetto di riporto, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata[2], risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’articolo 2425, cod. civ., superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi 2 esercizi anteriori (c.d. “test di vitalità” o “vitality test”)[3].

Il mancato superamento dei 2 citati test comporta l’impossibilità di trasferire in modo automatico, in tutto o in parte, le perdite fiscali, le eccedenze di interessi passivi indeducibili e le eccedenze Ace.

Il contribuente, se intende comunque trasferire detti elementi fiscali può presentare un’apposita istanza di interpello disapplicativo ai sensi articolo 11, comma 2, della L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).

Riporto delle perdite nelle fusioni e scissioni tra società dello stesso gruppo

I principi dettati dalla Legge delega per la riforma della disciplina delle perdite fiscali prevedono, in primo luogo, la necessità di non penalizzare il riporto delle perdite conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario, perché in tal caso non si verifica il fenomeno del c.d. “commercio di bare fiscali” che si intende contrastare con le norme in oggetto.

In realtà già con la normativa vigente l’Agenzia delle entrate ha più volte sostenuto la possibilità di disapplicare i citati limiti di riporto delle perdite fiscali in caso di fusioni e scissioni tra società dello stesso gruppo aderenti al consolidato fiscale.

In particolare, la circolare n. 9/E/2010 (§ 3) ha evidenziato come, in presenza di operazioni di fusione tra società partecipanti al medesimo consolidato nazionale (che non interrompono quindi la tassazione di gruppo ai sensi dell’articolo 11, commi 1 e 2 del Decreto attuativo) e con perdite fiscali riportabili conseguite in costanza di consolidato, può escludersi qualsiasi manovra elusiva tesa a realizzare, con l’operazione di aggregazione, la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali tra i soggetti coinvolti, atteso che questi, per effetto dell’operazione medesima, non possono fruire di alcun vantaggio addizionale in termini di compensazione degli imponibili, in quanto le perdite prodotte dalle società aderenti al consolidato “nascono” già compensabili con gli utili di altre società incluse nella tassazione di gruppo.

Infatti, già il regime di consolidato fiscale nazionale, in assenza di fusione, avrebbe consentito la compensazione intersoggettiva delle medesime perdite conseguite negli esercizi di validità dell’opzione, con la conseguenza che tali operazioni risultano essere (finché permane il regime di tassazione di gruppo) operazioni “neutrali” nei confronti delle perdite fiscali residue risultanti dalla dichiarazione dei redditi del consolidato.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle entrate, le disposizioni limitative al riporto delle perdite devono trovare applicazione solo con riferimento alle perdite “pregresse” all’ingresso nel regime consolidato di ciascuna società partecipante all’operazione (che non possono essere attribuite alla fiscal unit), rimanendo escluse le perdite prodotte in vigenza del consolidato.

In tale contesto l’articolo 16, comma 1, lettera b), dello schema di Decreto introduce nell’articolo 172, Tuir, il nuovo comma 7-ter in base al quale sono liberamente trasferibili (ovvero non soggiacciono ai limiti legati al test di “vitalità” e all’ammontare del patrimonio netto) le perdite realizzate nei periodi di imposta in cui le società partecipanti alla fusione facevano parte dello stesso gruppo[4] (quindi anche in assenza di un consolidato fiscale).

L’inapplicabilità dei limiti al riporto delle perdite fiscali viene concessa anche alle perdite conseguite antecedentemente all’entrata nel gruppo ma che sono state “omologate”, ovvero hanno già superato i limiti previsti dal nuovo testo dell’articolo 172, commi 7 e 7-bis, Tuir (in caso di entrata nel gruppo a seguito di fusione) e dal nuovo testo dell’articolo 84, comma 3, Tuir, di cui si dirà oltre (in caso di entrata nel gruppo mediante acquisizione della partecipazione da terzi), come modificati dallo stesso schema di Decreto.

Ciò evidentemente in quanto queste hanno già superato i test di vitalità e del patrimonio netto al momento in cui le relative società sono entrate nel gruppo, per cui non vi è ragione per assoggettarle nuovamente a tali test nell’ambito di operazioni straordinarie infragruppo.

A fronte di dette novità si pongono questioni circa i rapporti tra le perdite “infragruppo” e “omologate”, liberamente riportabili, e quelle che, invece, sono soggette ai limiti di riporto. A tale scopo gli ultimi 2 periodi del nuovo comma 7-ter dell’articolo 172, Tuir stabiliscono che:

  • in presenza di entrambe le tipologie di perdite l’importo che eccede il limite del patrimonio netto (a valori reali o contabili, di cui si dirà oltre) si considera formato prioritariamente dalle perdite soggette ai limiti di riporto, per cui le perdite “infragruppo” e “omologate”, anche se non soggiacciono ai limiti di riporto, dovrebbero “consumare” il plafond di patrimonio netto;
  • in sede di utilizzo delle perdite a riduzione dei redditi ordinari si considerano, invece, “consumate” per prime le perdite soggette ai limiti di riporto.

Il nuovo regime si applica alle operazioni effettuate dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del Decreto e quindi (presumibilmente) dal 2024, per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare.

Viene tuttavia previsto (comma 2, articolo 16, schema di Decreto) che alle perdite conseguite fino al periodo d’imposta antecedente (ovvero il 2023, per i “solari”), nonché alle eccedenze di interessi passivi indeducibili e alle eccedenze Ace pregresse, non si applicano le disposizioni relative alle perdite “infragruppo” e “omologate” di cui al nuovo comma 7-ter. Pertanto, i benefici previsti da detta norma avranno effetti soltanto per le perdite 2024 e successive.

Ai sensi del nuovo comma 7-quater dell’articolo 172, Tuir, come introdotto dall’articolo 16 dello schema di Decreto, tutte le suddette novità si applicano anche alle eccedenze di interessi passivi e alle eccedenze Ace.

 

Necessità di effettuare un doppio test di vitalità

Lo schema di Decreto conferma le previgenti modalità di applicazione del test di vitalità economica in relazione all’esercizio precedente a quello nel corso del quale la fusione ha efficacia (lettera a), comma 7, nuovo articolo 172, Tuir), ma stabilisce altresì che detto test deve essere superato anche con riferimento al “periodo interinale” (lettera b), comma 7, nuovo articolo 172, Tuir), ovvero quello che intercorre tra l’inizio dell’esercizio nel corso del quale la fusione ha efficacia ai sensi dell’articolo 2504-bis, cod. civ. e la data di efficacia della fusione stessa. A tali fini occorre predisporre alla data di efficacia della fusione un Conto economico intermedio redatto in osservanza dei Principi contabili applicati ai fini della redazione del bilancio di esercizio, con ragguaglio ad anno dei dati di tale Conto economico infrannuale relativi a ricavi e proventi dell’attività caratteristica e alle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, ai fini del confronto con la media degli ultimi 2 esercizi anteriori.

In più occasioni l’Agenzia delle entrate aveva già sostenuto che anche con le disposizioni vigenti i requisiti di vitalità economica debbano sussistere non solo nel periodo precedente la fusione, come si ricava dal dato letterale, bensì debbano continuare a permanere fino al momento in cui la fusione viene deliberata, per cui occorre effettuare un “doppiotest di vitalità, sull’esercizio precedente alla fusione e sul periodo interinale[5].

La posizione assunta dell’Agenzia delle entrate è stata criticata sia da Assonime (circolare n. 31/2007) sia dall’Associazione italiana dottori commercialisti (norma di comportamento n. 176/2009), tenuto conto che il dato testuale dell’articolo 172, comma 7, Tuir attualmente vigente non cita la necessità di eseguire il test anche sulla frazione di esercizio interinale.

Le novità previste dallo schema di Decreto confermano a livello normativo l’obbligatorietà della verifica del test di vitalità anche per il periodo interinale e ciò risulta particolarmente gravoso in quanto impone la predisposizione del citato Conto economico infrannuale alla data di efficacia della fusione, con l’osservanza dei princìpi contabili applicati ai fini della redazione del bilancio di esercizio.

 

Modifica del limite del patrimonio netto

Altro principio affermato dalla Legge delega è quello che prevede la revisione del citato limite quantitativo di riporto delle perdite nelle operazioni straordinarie rappresentato dal valore del patrimonio netto, oramai anacronistico e non più idoneo a garantire il raggiungimento della finalità antielusive che la norma si propone.

Il medesimo limite è stato, infatti, più volte disapplicato dalla stessa Agenzia delle entrate nelle risposte a interpello disapplicativo presentate dai contribuenti, in quanto il valore contabile del patrimonio netto non è sempre stato ritenuto un indice significativo in grado di misurare la capacità della società (intesa come autonoma organizzazione e prima dell’integrazione dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione) di produrre in futuro redditi imponibili tali da compensare le perdite fiscali pregresse riportate.

Ad esempio, nella risposta a interpello n. 124/E/2022, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto non rilevante il mancato superamento del limite del patrimonio netto in quanto questo si era ridotto negli esercizi precedenti per via di situazioni contingenti e, nel contempo, risultava dall’analisi dei bilanci che l’attività d’impresa svolta dall’incorporata, da cui hanno avuto origine le perdite fiscali, era concretamente esercitata.

Anche nella risposta a interpello n. 253/E/2022 l’Agenzia delle entrate ha disapplicato il limite del patrimonio netto in quanto i risultati negativi pregressi non sembravano tali da pregiudicarne l’operatività della società, dato che effettivamente le perdite fiscali erano state prodotte per fattori contingenti e congiunturali ed era verificabile una continuazione dell’attività operativa svolta dalla società.

In generale, come si desume dalle risposte a interpello disapplicativo dell’Agenzia delle entrate, quella che dovrebbe assumere rilevanza è la situazione economico-patrimoniale complessiva della società ante fusione, al fine di verificare che questa sia dotata di autonoma capacità produttiva.

In particolare, i principali indicatori presi a riferimento nelle risposte a interpello sono rappresentati dall’andamento del fatturato, dai risultati di periodo, dall’evoluzione degli indici di bilancio, dalle dotazioni patrimoniali (soprattutto di immobilizzazioni materiali), dal valore del capitale economico della società (rispetto all’entità delle perdite da riportare), nonché dalla consistenza dell’organico del personale dipendente.

Rispetto a tale prassi, le novità introdotte dallo schema di Decreto prendono tuttavia in considerazione soltanto il parametro dell’entità del capitale economico della società in quanto si stabilisce (nuovo comma 7, articolo 172, Tuir) che le perdite sono riportabili fino a concorrenza del valore “economico” del patrimonio netto di ciascuna società partecipante alla fusione, da determinarsi in base a una perizia giurata di stima riferita alla data di efficacia giuridica della fusione, redatta da un soggetto designato dalla società.

In assenza della relazione di stima si applica il “vecchio” criterio del patrimonio netto contabile, senza tener conto dei conferimenti degli ultimi 24 mesi.

Con la nuova disciplina si potrà pertanto fare riferimento al patrimonio netto espresso a valori correnti, che nella generalità dei casi è superiore al patrimonio netto contabile, e ciò consentirà il riporto di un maggior ammontare di perdite fiscali (nonché eccedenze di interessi passivi indeducibili ed eccedenze Ace), anche se a fronte dell’aggravio rappresentato dalla necessità di predisporre la citata perizia di valutazione.

Qualora risulti comunque sufficiente il valore del patrimonio netto contabile per consentire l’integrale riporto delle perdite fiscali, si potrà fare riferimento a tale parametro, senza necessità quindi di redigere la relazione di valutazione[6].

 

Perdite del periodo interinale

Il nuovo comma 7-bis dell’articolo 172, Tuir, introdotto dallo schema di Decreto, prevede che in caso di retrodatazione fiscale della fusione all’inizio dell’esercizio, anche le perdite fiscali che si sarebbero generate in via autonoma in capo alla società incorporata nel “periodo interinale” sono soggette ai limiti di riporto.

Anche in questo caso aumentano gli adempimenti dato che, sebbene la fusione sia retrodatata a inizio anno, occorrerà comunque predisporre un calcolo delle imposte per il periodo che va dall’inizio dell’esercizio alla data di effetto della fusione, per verificare la presenza di una eventuale perdita da assoggettare anch’essa ai limiti di riporto.

Da notare che lo schema di Decreto si riferisce alle sole perdite interinali dell’incorporata e non anche a quella dell’incorporante.

Tale nuova previsione equipara di fatto le fusioni retrodatate a quelle non retrodatate, dove la perdita del periodo interinale ante fusione risultava già assoggettata ai limiti di riporto, in quanto “autonoma”.

 

Novità per il riporto delle perdite fiscali in caso di cessione del controllo della partecipazione

L’articolo 16, comma 1, lettera a), schema di Decreto interviene anche sulla disciplina di riporto delle perdite fiscali prevista all’articolo 84, comma 3, Tuir, di contrasto al c.d. commercio delle “bare fiscali”, secondo la quale nel caso in cui la maggioranza delle partecipazioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria della società viene trasferita o acquisita da terzi, le perdite di detta società non possono essere riportate se nei 2 anni antecedenti o successivi a quello nel quale si è verificato il predetto trasferimento delle partecipazioni risulta modificata l’attività principale di fatto esercitata nei periodi d’imposta in cui le perdite sono state realizzate[7].

 

Armonizzazione dei test di riporto delle perdite fiscali

La predetta limitazione al riporto delle perdite fiscali non si applica se è superato il test di vitalità, le cui modalità applicative, nell’attuale versione della norma, differiscono leggermente rispetto all’analogo test previsto per fusioni e scissioni.

In tale contesto lo schema di Decreto uniforma le modalità di applicazione del test di vitalità dell’articolo 84, Tuir,  a quello dell’articolo 172, Tuir (nuovo articolo 84, comma 3-bis, lettera b), Tuir).

In secondo luogo, al fine di allineare completamente le 2 disposizioni, viene introdotto anche per il caso di cessione del controllo della società il limite del patrimonio netto, basato sul valore corrente dello stesso (e in subordine sul valore contabile), negli stessi termini previsti per le fusioni (nuovo articolo 84, comma 3-ter, Tuir).

Lo schema di Decreto precisa inoltre che le perdite non riportabili sono quelle che risultano al termine del periodo di imposta precedente al trasferimento delle partecipazioni oppure, qualora il trasferimento intervenga dopo il decorso di 6 mesi dalla chiusura di tale periodo, quelle che risultano al termine del periodo di imposta in corso alla data del trasferimento.

Il nuovo comma 3-quater dell’articolo 84, Tuir, conferma che le predette disposizioni di limitazione al riporto delle perdite si applicano anche alle eccedenze di interessi passivi e alle eccedenze Ace.

Infine, lo schema di Decreto introduce la previsione[8] in base alla quale le citate limitazioni al riporto delle perdite non si applicano quando la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria della società è trasferita alla controllante, a una controllata o a una società sottoposta a comune controllo, ovvero in tutti i casi in cui il trasferimento del controllo della società avviene all’interno del medesimo gruppo (nuovo articolo 84, comma 3, lettera a), Tuir).

Tale ultima novità, tuttavia, come stabilito dal comma 2 dell’articolo 16 dello schema di Decreto, si applica a partire dalle perdite conseguite nel 2024 e negli anni seguenti.

 

Nozione di modifica dell’attività esercitata

In merito al concetto di “modifica dell’attività principale” la disciplina vigente di riporto delle perdite fiscali di cui all’articolo 84, comma 3, Tuir ha comportato non poche incertezze interpretative, soprattutto in conseguenza di risposte non univoche da parte dell’Agenzia delle entrate a recenti interpelli disapplicativi.

Ad esempio, con la risposta a interpello n. 367/E/2019 l’Agenzia delle entrate ha ritenuto non riportabili le perdite fiscali qualora la società acquisita da terzi abbia nel frattempo sostanzialmente “azzerato” ogni attività e ciò anche se gli acquirenti hanno poi rilanciato detta attività svolta in precedenza dalla società senza alcuna modifica né del settore economico né del comparto merceologico di operatività.

Con la risposta a interpello n. 39/E/2022 l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che il divieto di riporto di perdite opera, per ragioni di ordine sistematico, anche nel caso in cui il trasferimento delle azioni interessi la controllante indiretta, e che, per quanto riguarda l’altra condizione prevista dalla norma, si verifica una modifica dell’attività nel caso di passaggio dalla precedente attività di gestione di aziende a una attività esclusivamente immobiliare. Nonostante ciò l’Agenzia delle entrate concludeva per la disapplicazione dei limiti al riporto delle perdite fiscali di cui all’articolo 84, comma 3, Tuir, in quanto non vi era stata “rivitalizzazione” della società, né una immissione di nuove attività nella stessa, dato che l’attivo patrimoniale era rimasto sostanzialmente immutato nel corso del tempo e la società risultava ancora titolare degli immobili che costituivano il principale asset necessario per lo svolgimento della propria attività precedentemente esercitata.

Infine, con la risposta a interpello n. 214/E/2022 l’Agenzia delle entrate, affrontando un caso di passaggio di attività da una gestione “attiva” a una gestione “passiva”, esercitata attraverso l’affitto dell’unica azienda, ha sostenuto che, a determinate condizioni, vi può essere modifica dell’attività anche quando “il cambiamento avvenga nell’ambito dello stesso comparto merceologico se comporti una espansione/riattivazione della principale attività un tempo esercitata (e da cui sono conseguite le perdite). Ciò deve essere associato, però, alla circostanza che siano apportate risorse aggiuntive rispetto a quelle fisiologicamente a disposizione della società che riporta le perdite, e che tali risorse siano riconducibili, direttamente o indirettamente, al soggetto che acquisisce il controllo della società che riporta le perdite”.

Dalle suddette risposte emerge come l’Agenzia delle entrate abbia inteso il concetto di “modifica dell’attività principale di fatto esercitata” in senso molto ampio e non sempre univoco, per cui la riforma fiscale, come evidenziato dalla Relazione illustrativa alla Legge delega, intende chiarire le condizioni in presenza delle quali si ritiene che 2 società svolgano la medesima attività, qualora, ad esempio, operino nello stesso settore e comparto merceologico.

Lo schema di Decreto interviene sulla definizione di “modifica dell’attività principale”, prevedendo espressamente che questa si intende verificata in caso di cambiamento di settore o di comparto merceologico o di acquisizione di aziende o rami di aziende (nuovo comma 3, articolo 84, Tuir).

Non costituisce quindi cambiamento dell’attività la mera immissione di risorse finanziarie aggiuntive da parte del nuovo socio o l’acquisto di singoli beni strumentali per integrare la struttura produttiva.

 

Definizione delle perdite “finali

L’articolo 6, punto 4) della Legge delega per la Riforma fiscale prevede l’introduzione nel nostro ordinamento fiscale della definizione di “perdite finali”, ai fini del loro riconoscimento secondo i principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria[9].

Tali principi comunitari prevedono che le Autorità fiscali degli Stati membri debbano consentire di dedurre, da parte della controllante residente in altro Stato membro, le perdite di una società controllata non residente quando queste siano ritenute “definitive”, ovvero non più deducibili dal reddito della società controllata nel proprio ordinamento.

In particolare, secondo la Corte di Giustizia UE, al fine di qualificare una perdita come “definitiva” non è sufficiente che la società controllata venga posta in liquidazione o che la disciplina locale non consenta alcun riporto delle perdite, ma è necessario che l’impresa stabilita nell’altro Stato membro abbia terminato le proprie attività commerciali attraverso la cessione o la eliminazione di tutti i propri asset potenzialmente produttivi di ricavi e che la medesima società non possa essere ceduta a terzi, nell’ambito di una compravendita il cui prezzo tenga conto del valore fiscale delle perdite.

In base ai dettami della Legge delega, l’articolo 16, comma 1, lettera d), dello schema di Decreto, mediante modifica dell’articolo 181, Tuir, prevede che, nel caso in cui una società residente in uno Stato appartenente all’Unione Europea o aderente all’accordo sullo Spazio economico europeo con il quale l’Italia ha stipulato un accordo che assicura un effettivo scambio di informazioni, viene incorporata in una società residente in Italia, o partecipa a una fusione “propria” in cui la società risultante dalla fusione è residente in Italia, le perdite della società non residente possono essere riportate dalla società italiana se ricorrono le 2 condizioni di seguito illustrate.

La prima condizione attiene al fatto che vi sia controllo di diritto[10] (tramite partecipazioni dirette e indirette) da parte della incorporante italiana della società estera, oppure che la società estera controlli l’incorporante italiana (nel caso di fusione inversa), oppure ancora che le 2 società partecipanti alla fusione siano controllate dalla medesima società controllante.

Il requisito del controllo deve sussistere sia nei periodi d’imposta in cui le perdite si sono prodotte, sia alla data di efficacia della fusione transfrontaliera.

La seconda condizione richiede che le perdite siano “definitive”, ovvero che non possano essere più utilizzate nell’altro Stato in quanto la società estera incorporata ha cessato la propria attività economica, ha alienato a terzi o comunque dismesso tutti i beni e, ai sensi della normativa dello Stato in cui è residente, tali perdite non possono essere utilizzate se il controllo della società è trasferito a terzi.

 

[1] Si ricorda, infatti, che i limiti previsti per il riporto delle perdite fiscali sono stati estesi anche alle eccedenze riportabili di interessi passivi non dedotti ai sensi dell’articolo 96, Tuir, a opera dell’articolo 1, comma 33, lettera a), L. 244/2007, in vigore dal 1° gennaio 2008, il quale ha integrato il comma 7 dell’articolo 172, Tuir, prevedendo che le sue disposizioni “si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 4, dell’art. 96”. Successivamente la limitazione è stata estesa anche alle eccedenze Ace riportabili, ovvero la quota di agevolazione che in un esercizio non è utilizzata, per assenza di reddito imponibile capiente, e la cui deduzione è rinviata ai successivi periodi d’imposta. Tale modifica è avvenuta a opera del comma 549, lettera c), dell’articolo 1, Legge di Bilancio 2017, che ha inserito nel quinto periodo dell’articolo 172, comma 7, Tuir, la previsione in base alla quale le disposizioni sulla limitazione al riporto delle perdite fiscali nell’ambito delle fusioni si rendono applicabili anche all’eccedenza relativa all’Ace di cui all’articolo 1, comma 4, D.L. 201/2011.

[2] Con le modifiche apportate dallo schema di Decreto non si fa più riferimento al periodo in cui interviene la deliberazione di fusione ma, più correttamente, a quello in cui interviene l’“efficacia” della fusione.

[3] In realtà, è attualmente previsto anche il limite al riporto delle perdite fino a concorrenza delle svalutazioni precedentemente dedotte in relazione alle partecipazioni nelle società partecipanti alla fusione, ma questo ha ormai perso di importanza da quando, con la Riforma del 2004, le svalutazioni delle partecipazioni non sono più deducibili; tant’è che lo schema di Decreto non ripropone detta disposizione.

[4] Tale circostanza si verifica quando una società partecipante alla fusione controlla l’altra o le altre società partecipanti alla fusione o tutte le società partecipanti alla fusione sono controllate dallo stesso soggetto. Per “controllo” si intente quello ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1), e comma 2, cod. civ..

[5] Cfr. risoluzioni n. 116/E/2006, n. 143/E/2008, circolari n. 9/E/2010 e n. 6/E/2016 e risposta a interpello n. 234/E/2022.

[6] Resta comunque ferma la possibilità di rimuovere i limiti al riporto delle perdite tramite il ricorso all’interpello disapplicativo di cui all’articolo 11, comma 1, lettera d), Statuto dei diritti del contribuente.

[7] Le medesime limitazioni si applicano anche alle eccedenze Ace e alle eccedenze di interessi passivi indeducibili ex articolo 96, Tuir.

[8] Peraltro, analoga disposizione era già presente fino al 2006, quando fu abrogata dall’articolo 36, comma 12, D.l. 223/2006 (con decorrenza dal 4 luglio 2006).

[9] Si tratta di un principio che intende armonizzare la normativa interna con l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che è stata più volte chiamata a pronunciarsi sul tema sin dalla sentenza Marks & Spencer (sentenza causa C-446/03 del 13 dicembre 2005) e fino alla recente sentenza W. AG (sentenza causa C-583/20 del 22 settembre 2022).

[10] Ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, numero 1), e comma 2, cod. civ..

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Il reddito di impresa.