Nullo l’accertamento che recepisce acriticamente il PVC
di Massimo Conigliaro
L’obbligo di motivazione non si può eludere. E se un avviso di accertamento richiama un PVC, tale circostanza non esime l’ufficio da una propria valutazione autonoma dei presupposti impositivi.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi l’onere di un attento e puntuale esame dei rilievi contenuti nel processo verbale di constatazione e di tale percorso logico valutativo deve essere data esplicita evidenza nell’atto impositivo. Altrimenti l’accertamento è viziato e l’avviso è nullo, così come ribadito di recente dalla Commissione Tributaria Provinciale di Rovigo con la sentenza n. 92/01/2013 depositata il 30.12.2013.
Nel caso trattato dai giudici veneti, è stato precisato che alla Guardia di Finanza e’ attribuita una funzione ausiliaria e le valutazioni della stessa possono essere anche disattese dall’ufficio che è tenuta ad operare una valutazione critica dei dati e degli elementi informativi loro forniti dagli organi competenti a svolgere le indagini.
La sentenza ricorda che l’ufficio deve vagliare con attenzione l’operato dell’organo di Polizia, attraverso l’esame del materiale raccolto e tramite una precisa indagine critica delle argomentazioni utilizzate dai verbalizzanti per stabilire l’eventuale evasione d’imposta. Nel caso di specie l’ufficio non ha proceduto ad alcuna valutazione sua propria in ordine alla sussistenza del presupposto dell’imposta, limitandosi a tassare in capo al ricorrente l’ammontare di alcune poste di bilancio così come indicate dalla Guardia di Finanza.
Viene infine evidenziata e censurata la ben nota formula di stile presente in tutti gli avvisi di accertamento “visto il pvc il cui contenuto si intende integralmente richiamato e condiviso dall’ufficio” in quanto nel caso di specie non sono state indicate le autonome valutazioni dell’ente impositore che si è limitato a riportare passivamente quanto emerso nel pvc.
La pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Rovigo, nella parte finale di un’articolata sentenza, enuncia un principio troppe volte trascurato.
La Corte di Cassazione, nel tempo, ha escluso il valore probatorio dei rilievi e delle infrazioni relative a condotte non direttamente percepite dai verbalizzanti che, pertanto, devono essere provate dall’Amministrazione Finanziaria, ove questa se ne avvalga. Vi è pertanto uno specifico obbligo di procedere ad una valutazione critica del contenuto del verbale di constatazione senza limitarsi ad una mera ricezione. Tale principio non deve però restare sul piano della mera enunciazione dovendo trovare concreta applicazione non soltanto nella sua componente contenutistica, ma anche in quella formale, dando prova dell’attività posta in essere e dei risultati conseguiti (Cfr. Cassazione n. 10855/94).
Del resto, lo stesso Ministero delle Finanze già con la circolare n.1/9/2662 del 12 gennaio 1983 sottolineava ai propri uffici periferici ” la necessità che i risultati delle verifiche, eseguite dagli uffici e dalla Guardia di Finanza, vengano, in sede di redazione dell’atto di accertamento, esaminati accuratamente e non trasferiti acriticamente nell’atto medesimo“.
Principi che il dicastero centrale aveva già indicato in precedenti istruzioni operative (circ. n.29/410811 del 23 maggio 1978; nota min. n. 411053 del 17 novembre 1979; Ris. n.421120 dell’8 aprile 1981). Mai, quindi, l’ufficio può rinunciare al dovere di valutazione autonoma degli elementi sui quali si fonda la pretesa accertativa. E’ evidente pertanto che un avviso di accertamento deve in concreto argomentare se il processo verbale di constatazione notificato al contribuente contiene o meno tutti gli elementi necessari ad individuare la pretesa tributaria. Peraltro, è noto che il processo verbale di constatazione rimane un documento di parte che si inserisce nell’area endoprocedimentale che porta all’emissione dell’atto impositivo e deve, pertanto, essere ulteriormente supportato dall’attività dell’Agenzia delle Entrate in capo alla quale rimane il potere (e l’autonomia) di accertamento.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 21119/2011) ha precisato che in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, la motivazione “per relationem“, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. La stessa pronuncia, però, sottolinea che l’esercizio di un potere frazionato anche in poteri istruttori attribuiti ad altri uffici amministrativi, è legittimamente esercitato quando faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali purchè munito di un’adeguata motivazione.
In conclusione, è opportuno ricordare che il sistema tributario prevede una netta distinzione tra gli organi di polizia tributaria deputati al controllo della posizione fiscale dei contribuenti e gli uffici dell’amministrazione finanziaria (nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate), ai quali spetta – e soltanto a loro – il potere di accertamento. Consentire un richiamo di mero stile ed acritico ai risultati di un processo verbale di constatazione vorrebbe dire svilire tale principio e derubricare a semplice formalità burocratica la redazione, motivazione e notifica dell’avviso di accertamento.