Come noto, l’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento sulla base dei parametri o degli studi di settore qualora “l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi”, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, Legge 146/1998. Tale norma deve essere poi coordinata con l’articolo 62-sexies, comma 3, D.L. 331/1993, secondo cui gli accertamenti di cui agli articoli 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 e 54 D.P.R. 633/1972 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o dagli studi di settore.
Ciò posto, è necessario che, ai sensi dell’articolo 5 D.Lgs. 218/1997, l’Amministrazione finanziaria, prima di procedere alla notifica dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore, inviti il contribuente a comparire di persona per la definizione in contraddittorio dell’accertamento ex articolo 10, comma 3-bis, Legge 146/1998. Sebbene la norma non commini alcuna sanzione per la mancanza dell’invito al contraddittorio, la sua omissione invalida il successivo avviso di accertamento.
Infatti, nella pronuncia in commento i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato tout court che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente”.
Ciò sulla base della considerazione per la quale i risultati derivanti dall’applicazione dei parametri o degli studi di settore hanno valore di presunzione semplice, rappresentando solo un indice di possibili anomalie del comportamento fiscale del contribuente, così come riconosciuto dalla stessa Amministrazione finanziaria (cfr., circolare AdE 14 aprile 2010, n. 19; circolare AE 23 gennaio 2008, n. 5), con la conseguenza che la loro gravità, precisione e concordanza può nascere solo in seguito al contraddittorio con il contribuente.
Dunque, appare evidente come la ratio della norma che prescrive l’invito al contraddittorio sia chiaramente quella di consentire al contribuente di far emergere nella fase amministrativa gli elementi che possono confermare o smentire la rappresentazione della realtà economica effettuata mediante gli studi di settore, in modo tale da poter adeguare i risultati presunti alla fattispecie esaminata.
La pronuncia de qua si innesta nel solco tracciato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione con le note sentenze del 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, consolidatosi successivamente con le sentenze nn. 12558/2010, 23070/2012, 27822/2013, 21336/2015 e 17486/2016.
Da quanto sopra evidenziato ne è derivata la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione per un nuovo esame.
Per approfondire questioni attinenti all’articolo vi raccomandiamo il seguente corso: