Nullo l’avviso di accertamento da indagini bancarie fatte “a tavolino” se non preceduto da PVC
di Davide David
Con una interessante e ben motivata sentenza (la n. 133/02/13 del 24.10.2013), la CTP di Pordenone si inserisce nel sempre più ricco filone della giurisprudenza di merito che considera illegittimi gli avvisi di accertamento emessi a seguito di verifiche fatte “a tavolino” senza essere preceduti da un processo verbale di constatazione o comunque di chiusura delle operazioni di controllo.
Nel caso specifico l’interesse è ancora maggiore, considerato che l’avviso di accertamento impugnato derivava da indagini bancarie effettuate ai sensi dell’art. 32 del DPR 600/1973.
Come noto, è da tempo che si dibatte sulla illegittimità degli avvisi di accertamento non preceduti da un verbale di chiusura delle operazioni di controllo.
Con la sentenza n.18184 del 29.07.2013, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, chiamata ad affrontare la specifica questione della nullità di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio del PVC (in violazione dell’art. 12, c. 7, della legge n. 212/2000), ha enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficacie esercizio della potestà impositiva”.
Con la richiamata sentenza a Sezioni Unite, la Cassazione ha quindi definitivamente sancito la illegittimità degli avvisi di accertamento emessi prima del termine di sessanta giorni dall’emanazione del PVC, salvo che non vi siano state specifiche ragioni di urgenza.
Da alcuni (tra i quali diversi Uffici dell’Agenzia delle entrate) questa sentenza è stata però letta, ragionando al contrario, come conferma della legittimità degli avvisi di accertamento emessi a seguito di verifiche fatte “a tavolino” senza il preventivo rilascio di un processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo.
Il ragionamento che viene fatto è che la Cassazione ha sancito la sola illegittimità degli avvisi di accertamento emessi a seguito di verifiche effettuate nei locali aziendali, il che, a detta dei sostenitori delle suddetta tesi, confermerebbe che i diritti sanciti dall’art.12, comma 7, della legge n. 212/2000, non valgono per le verifiche fatte in ufficio.
Chi scrive ritiene invece che la Cassazione si sia limitata ad affrontare il caso degli avvisi di accertamento emessi a seguito delle verifiche effettuate nei locali aziendali perché solo questa era la questione sottoposta al suo esame. Ciò non vuol dire che quanto sancito dalla Cassazione con specifico riferimento a tale situazione non valga anche per l’analogo caso delle verifiche effettuate “a tavolino” negli uffici dell’Agenzia delle entrate.
Del resto il principio di diritto enunciato dalle SSUU ha certamente una portata più generale, che va oltre il caso specifico delle verifiche nei locali aziendali, in quanto richiama la necessaria “garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficacie esercizio della potestà impositiva”. Ed è del tutto evidente che di tale garanzia devono poter beneficiare, in termini assolutamente paritetici, sia i contribuenti sottoposti a verifica nei locali aziendali che quelli sottoposti a verifica “a tavolino”.
Se infatti i principi e le motivazioni sanciti dalla Suprema Corte non dovessero valere per entrambe le fattispecie, vi sarebbe una del tutto evidente, ingiusta e ingiustificata disparità tra i contribuenti accertati solo a seguito dell’emanazione di un processo verbale e quelli accertati direttamente “a tavolino” senza essere notiziati della chiusura delle operazioni di controllo e del relativo esito, dato che in questa ipotesi:
- soltanto i primi risulterebbero garantiti nel loro diritto ad un preventivo contradittorio, a pena di nullità e/o annullabilità dell’avviso di accertamento qualora l’avviso di accertamento dovesse essere emanato prima di sessanta giorni o qualora, anche se emanato dopo tale termine, non dovesse contenere delle specifiche valutazioni sulle osservazioni e richieste fatte dal contribuente;
- i secondi non risulterebbero invece garantiti né per quanto concerne il loro giusto e indefettibile diritto di comunicare le proprie considerazioni e richieste all’esito del controllo né, di conseguenza, per quanto concerne il loro altrettanto giusto e indefettibile diritto a che l’Ufficio valuti le considerazioni e le richieste e motivi in modo specifico nell’avviso di accertamento le ragioni di un loro eventuale mancato accoglimento.
Tali considerazioni sono state giustamente fatte proprie dalla CTP di Pordenone con la sentenza di cui in premessa.
In particolare la CTP ha chiaramente affermato che l’Amministrazione è “tenuta a redigere e a mettere a disposizione del contribuente il processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo effettuate e ad assicurargli i “diritti” e le “garanzie” tutte previste dalla citata disposizione (l’art. 12, comma 7, della legge 212/2000, ndr) ogniqualvolta dalle operazioni in questione possano derivare conseguenze pregiudizievoli al soggetto controllato e, dunque, a prescindere dal luogo e dalle modalità in cui è stata posta in essere l’attività di controllo”.
Ciò in quanto, continuano i giudici pordenonesi, “i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione”.
Poiché quindi, nel caso sottoposto all’attenzione della CTP di Pordenone, l’Agenzia delle entrate, facendo seguito a delle indagini bancarie, aveva effettuato le verifiche del caso in ufficio per poi emettere l’avviso di accertamento senza farlo precedere da un processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo, i giudici pordenonesi hanno annullato l’avviso di accertamento in quanto, come espressamente indicato in sentenza, è stato emesso violando “i diritti e le garanzie che l’art. 12, comma, comma 7, della legge n. 212 del 2000 riconosce al contribuente <<sottoposto a verifiche fiscali>>”.
I giudici pordenonesi hanno anche riconosciuto (giustamente) che non ha alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, il fatto che il contribuente avesse potuto svolgere le sue difese in sede di accertamento con adesione, dato che, come espressamente indicato in sentenza, è “evidente la diversa funzione assolta dal contraddittorio endo-procedimentale (quello cioè che deve intercorrere tra la fine della verifica e l’emissione dell’avviso di accertamento, ndr), da un lato, da quello originato da una procedura di accertamento con adesione”.