1 Dicembre 2016

La nuova conciliazione giudiziale: effetti sulle liti in corso

di Enrico Ferra
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Il decreto di riforma del processo tributario, D.Lgs. 156/2015, ha rivitalizzato notevolmente il procedimento di conciliazione giudiziale, scindendo il vecchio articolo 48 del D.Lgs. 546/1992 e introducendo disposizioni comuni ai fini della definizione e del pagamento delle somme dovute a seguito della conclusione dell’accordo.

Per effetto di tali modifiche il nuovo impianto normativo dell’istituto risulta ora disciplinato in tre diversi articoli:

  • l’articolo 48, recante la disciplina della conciliazione “fuori udienza”,
  • l’articoli 48-bis, recante la disciplina della conciliazione “in udienza”,
  • e l’articolo 48-ter, recante norme comuni alle due tipologie di conciliazione con specifico riferimento alla definizione e al pagamento delle somme dovute.

Tale strumento deflativo è, come noto, un istituto endoprocessuale ed incidentale che consente di definire (totalmente o parzialmente) le controversie instaurate sia in primo grado che in appello in relazione ad ogni vertenza soggetta alla giurisdizione delle Commissioni tributarie: ciò tramite una “transazione” diretta alla ridefinizione del tributo e all’applicazione delle sanzioni ricalcolate in misura ridotta sulla base della proposta conciliativa.

Con l’intervento del decreto di riforma, l’istituto risulta, come detto, rivitalizzato grazie essenzialmente ai seguenti interventi:

  • l’estensione dell’applicazione dell’istituto al giudizio di appello;
  • l’introduzione di nuove norme per il pagamento delle somme dovute;
  • la rimodulazione dei benefici sanzionatori in funzione del momento in cui avviene la chiusura della controversia.

Molto interessante è in particolare la possibilità di sfruttare l’istituto anche dopo il primo grado di giudizio, a conferma della tendenza ad ampliare il perimetro della collaborazione fisco-contribuente con la previsione di un ulteriore momento di confronto utile alla definizione delle liti.

Si tratta, in sostanza, dell’ultimo momento di compliance a disposizione delle parti del processo tributario, con la previsione di benefici sanzionatori.

La conciliazione giudiziale può avvenire sia fuori udienza (mediante deposito di una proposta alla quale la controparte abbia già aderito) che in udienza (mediante deposito di una proposta alla quale la controparte potrà o meno aderire) e comporta i seguenti effetti:

  • l’estinzione parziale o totale della lite;
  • la riduzione delle sanzioni al 40% o 50% del minimo edittale delle somme irrogabili in rapporto dell’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione;
  • l’applicabilità del cumulo giuridico limitatamente a ciascun tributo e a ciascun periodo d’imposta;
  • la compensazione delle spese processuali.

Più in particolare, il perfezionamento della conciliazione nel corso del giudizio di primo grado comporta la riduzione delle sanzioni al 40% del minimo edittale delle somme irrogabili in relazione all’ammontare del tributo risultante dalla conciliazione; la conciliazione nel corso del giudizio di appello determina, invece, l’applicabilità delle sanzioni nella misura del 50% del minimo edittale.

Per come è impostata la nuova norma, si ritiene che le percentuali (di riduzione) costituiscano il limite minimo, nel senso che l’ammontare delle sanzioni non può essere inferiore al 40% del minimo edittale (o 50% se il procedimento è chiuso nelle more del giudizio di appello). Ciò non toglie, evidentemente, che la riduzione sanzionatoria possa arrivare fino al 100% (con azzeramento della sanzione originariamente irrogata) laddove vi siano validi motivi per i quali l’Ufficio ritenga oltremodo sconveniente la prosecuzione della controversia.

Altro non trascurabile effetto conseguente al perfezionamento della conciliazione è la compensazione delle spese processuali: in caso di conciliazione, infatti, le spese del giudizio rimangono a carico della parte che le ha sostenute. Ciò per effetto della nuova disposizione contenuta nel nuovo comma 2-octies dell’articolo 15 del D.Lgs. 546/1992. Quest’ultimo non è un aspetto marginale, posto che lo stesso decreto di riforma del processo tributario ha “normativizzato” il principio secondo cui la parte soccombente è tenuta a rimborsare le spese di giudizio liquidate con sentenza.

In base alla norma contenuta nel citato comma 2-octies viene, infatti, stabilito in maniera espressa che:

  • qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata;
  • se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.

Di conseguenza, nel caso intervenga la conciliazione le spese sono compensate di “diritto”. Diversamente, qualora la proposta di conciliazione di una delle parti non venga accolta dall’altra parte, possono verificarsi le seguenti ipotesi:

  1. una parte risulta del tutto soccombente e, quindi, in base al principio generale, le sono addebitate le spese di lite;
  2. c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha rideterminato la pretesa per un ammontare inferiore al contenuto della proposta conciliativa (rifiutata con giustificato motivo), nel qual caso le spese sono compensate;
  3. c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha rideterminato la pretesa per un ammontare inferiore al contenuto della proposta conciliativa (rifiutata senza giustificato motivo), nel qual caso le spese sono a carico della parte che ha rifiutato la proposta conciliativa;
  4. c’è soccombenza reciproca e la sentenza ha rideterminato la pretesa per un ammontare superiore al contenuto della proposta conciliativa, nel qual caso le spese sono compensate.
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