Nuova detrazione dell’Iva non dovuta
di EVOLUTIONIn base al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la detrazione dell’imposta pagata, “a monte”, per l’acquisto o l’importazione di beni/servizi non era ammessa in ogni caso se l’operazione era stata indebitamente assoggettata ad imposta essendo, invece, esente o esclusa da Iva.
Il divieto di detrazione si applicava anche nell’ipotesi in cui l’operazione era stata erroneamente assoggetta ad imposta con un’aliquota superiore a quella prevista per la specifica cessione o prestazione posta in essere, non essendo sufficiente che l’operazione fosse rientrata nell’oggetto dell’impresa e fosse oggetto di fatturazione, dovendo altresì essere assoggettata a Iva nella misura dovuta (Cassazione, 2 luglio 2014, n. 15178; 13 settembre 2013, n. 20977; 17 giugno 2013, n. 15068; 26 maggio 2009, n. 12146; 5 giugno 2003, n. 8959).
Di conseguenza, se l’operazione era stata erroneamente assoggettata ad imposta, l’Iva o la maggiore Iva non dovuta restava priva di fondamento:
- non solo in capo al fornitore, che aveva pertanto diritto di chiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso;
- ma anche in capo al cliente, nei cui confronti il fornitore aveva esercitato il diritto-dovere di rivalsa previsto dall’articolo 17, D.P.R. 633/1972, per cui il cliente stesso poteva chiedere al fornitore la restituzione dell’Iva indebitamente versata.
L’impostazione descritta implicava, inoltre, che la detrazione operata dal cliente era illegittima, con conseguente diritto dell’Amministrazione di recuperare a tassazione l’imposta detratta.
Tale orientamento trovava conferma nella giurisprudenza comunitaria, per la quale l’esercizio del diritto di detrazione è circoscritto alle imposte corrispondenti alle operazioni soggette a Iva, versate in quanto dovute (Corte di Giustizia, 15 marzo 2007, causa C-35/05; 6 novembre 2003, cause riunite C-78/02, C-79/02 e C-80/02; 19 settembre 2000, causa C-454/98; 13 dicembre 1989, causa C-342/87).
In particolare, è stato ritenuto che:
- il diritto di detrarre l’Iva fatturata è collegato, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile, ma che – tuttavia – il suo esercizio non si estende all’Iva dovuta per il solo fatto di essere indicata in fattura;
- il rischio di perdita di gettito fiscale non è eliminato completamente finché il destinatario della fattura errata possa utilizzarla ai fini della detrazione, ex articolo 178, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE, sicché l’obbligo di versamento dell’imposta erroneamente applicata in fattura – previsto dall’articolo 203 della Direttiva e dal corrispondente articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972 – è finalizzato proprio ad eliminare il rischio di perdita erariale che può derivare dall’esercizio del diritto di detrazione.
La detrazione dell’Iva non dovuta da parte del cessionario/committente non poteva essere giustificata alla luce del paventato arricchimento indebito dell’Erario, che doveva considerarsi escluso proprio in considerazione del descritto meccanismo della rivalsa, il quale legittimava, senza che risultasse violato il principio di neutralità fiscale (Cassazione 15 maggio 2015, n. 9942):
- tanto il fornitore a chiedere il rimborso dell’Iva versata in eccedenza nei confronti dello Stato;
- quanto il cliente alla ripetizione del maggior importo corrisposto nei confronti del fornitore.
In proposito, la stessa giurisprudenza comunitaria ha espressamente affermato che i princìpi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale – quale quella italiana – che consente esclusivamente al fornitore di chiedere il rimborso dell’imposta indebitamente versata all’Erario, siccome il cliente – nel rapporto privatistico discendente dalla rivalsa – può esercitare l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del fornitore (articolo 2033 cod. civ.), soggetta a prescrizione decennale ai sensi dell’articolo 2934 cod. civ. (Corte di Giustizia, 15 marzo 2007, causa C-35/05).
La legge di Bilancio 2018 ha stravolto la storica impostazione integrando l’articolo 6, comma 6, del D.Lgs. 471/1997, secondo cui “chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa pari al novanta per cento dell’ammontare della detrazione compiuta”, con la previsione che, “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto dei Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, il cessionario o il committente anzidetto è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.
La norma così riformulata, nonostante il tenore letterale, dovrebbe intendersi riferita non solo ai casi di applicazione di un’aliquota superiore a quella corretta, ma anche alle ipotesi in cui l’operazione sia stata erroneamente considerata imponibile, anziché esente, non imponibile o non soggetta.
In sostanza, la novella legislativa tutela la posizione del cliente, a tal fine equiparando le ipotesi derivanti dall’applicazione di un’imposta in misura superiore a quella dovuta ai casi di violazione del regime del reverse charge: pertanto, il cliente che abbia assolto in rivalsa l’imposta erroneamente addebitata dal fornitore deve avere il diritto ad operare la detrazione, ferma in tal caso l’applicazione nei cuoi confronti della sanzione ridotta (da 250 euro a 10.000 euro).
Gli effetti della nuova disposizione non possono che essere considerati retroattivi, a dispetto della decorrenza della legge di Bilancio 2018 (1° gennaio 2018).
Sul punto però è quantomeno opportuno attendere una conferma dell’Agenzia delle Entrate.
Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti: |