Nuova vita per gli scarti vegetali
di Luigi ScappiniLa L. 154/2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 186 del 10 agosto 2016, nota come Collegato agricolo, ha apportato numerose novità all’insegna dell’obiettivo dichiarato di una semplificazione e razionalizzazione, ma soprattutto ricerca di competitività in un settore che sta attraversando, in determinate aree quali ad esempio quelle del lattiero-caseario, una fase di indubbia crisi.
E il rilancio di un settore passa non solo attraverso annunci ad effetto quali possono essere l’abrogazione dell’Irpef per i coltivatori diretti e gli Iap, circostanza di difficile percorribilità atteso eventuali problematiche connesse a possibili aiuti di Stato ma ancor prima a eventuali profili di incostituzionalità alla luce dell’articolo 53, ma soprattutto a mezzo di fattivi interventi che operano nella realtà operativa dei coltivatori.
Tale è, ad esempio, la previsione contenuta nell’articolo 41 del Collegato agricolo con cui di fatto vengono sgravati i produttori agricoli di un costo, rappresentato dallo smaltimento dei residui vegetali, quando gli stessi sono ricondotti tra i cd. “rifiuti speciali”.
L’intervento si inserisce nel contesto di una politica comunitaria, che per ovvi motivi incide su quella interna, mirante a una ridefinizione dell’agricoltura.
In particolare, con la comunicazione COM (2015) 614 del dicembre 2015, l’Unione Europea ha presentato il suo programma “L’anello mancante – Piano d’azione dell’Unione europea per l’Economia Circolare”, avente lo scopo preciso di approdare a un ipotetico saldo zero nell’utilizzo delle materie prime ed energetiche nella produzione, a partire dal pieno recupero di quelle già impiegate, producendo il minimo rifiuto.
Tale obiettivo, se da un lato insegue l’obiettivo dichiarato della tutela dell’ambiente che ci circonda, al contempo, in via sussidiaria origina, se utilizzata attentamente, anche una riduzione dei costi di produzione.
Infatti, l’economia circolare contempla non solo al trattamento delle biomasse e dei rifiuti organici e alimentari, ma anche il recupero degli elementi nutritivi da ritornare al suolo agrario asportati dalla coltivazione.
Per quanto attiene il versante interno, ancor prima del Collegato agricolo di cui alla L. 154/2016, sul tema specifico del corretto inquadramento degli scarti verdi si era pronunciato il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con la nota del 27 maggio 2015, protocollo n. 0006038, con cui era stato precisato come, in vigenza dell’allora articolo 185, D.Lgs. 152/2006 (il cd. Codice dell’ambiente), al fine di escluderli dalla normativa relativa ai rifiuti, era sufficiente dimostrare:
- la provenienza agricola;
- la costituzione con sostanze naturali non pericolose e
- il reimpiego nel medesimo o in un differente ciclo produttivo o energetico, nel rispetto di eventuali norme vigenti.
A questo, come anticipato, ha fatto seguito l’intervento dell’articolo 41 richiamato, che ha provveduto all’integrale riscrittura della lettera f) dell’articolo 185, D.Lgs. 152/2006, per effetto della quale adesso non rientrano più nel campo di applicazione della Parte IV del Codice, dedicato ai rifiuti, “la paglia, gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a), nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in percolo la salute umana”.
E ciò comporta che le sostanze sopraindividuate a prescindere non possono essere considerate quali rifiuti, fattispecie che non si sarebbe verificata nell’ipotesi in cui fossero state ricomprese nel precedente articolo 184-bis, ove, al contrario, si verifica una delimitazione meno perentoria poiché le sostanze non si considerano assimilabili ai rifiuti non in via assoluta ma in ragione del manifestarsi di prestabilite condizioni.
Ma la vera forza della modifica introdotta non è riscontrabile nella mancata assimilazione ai rifiuti, circostanza che del resto non si manifestava allorquando gli stessi venivano reimpiegati all’interno della medesima azienda agricola che li originava, bensì nella previsione di un loro utilizzo esterno, alternativamente:
- al di fuori del luogo di produzione e
- a mezzo di cessione a soggetti terzi.
Il passaggio non è di poco conto, atteso i plurimi utilizzi degli scarti verdi, non solo ai fini di una loro introduzione negli impianti a biomassa per la generazione di energia verde, ma anche per lo sviluppo di una agricoltura biologica o comunque attenta alla tutela del fattore terra.
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