Nuove specifiche tecniche di fattura elettronica ed esterometro – III° parte
di Roberto CurcuNelle prime due parti di questo contributo, abbiamo illustrato come le nuove specifiche tecniche della fattura elettronica vanno ad incidere sulla fatturazione attiva.
In questo contributo proviamo ad illustrare quali modifiche ci dovrebbero essere con riferimento alla registrazione delle operazioni passive.
Partiamo in primo luogo dalla determinazione dell’ammontare dell’Iva detraibile: l’Agenzia non può conoscere se una cessione di beni o una prestazione di servizi dà diritto alla detrazione dell’Iva al cessionario o committente, in quanto non è a conoscenza di come viene applicata l’indetraibilità oggettiva, quella mirata, e in alcuni casi nemmeno quella da pro-rata.
Quello che l’Agenzia può sapere, senza essere comunque precisa, è quale sarebbe l’ammontare massimo di Iva detraibile, ipotizzando che non ci siano casi di indetraibilità: tale importo sarebbe dato dall’Iva indicata in tutte le fatture elettroniche ricevute nell’anno (l’Iva relativa può essere infatti detratta solo nell’anno di ricezione della fattura), sommata all’Iva all’importazione (nonostante per l’importatore la bolletta doganale sia un documento cartaceo, i relativi dati dovrebbero essere inseriti a sistema), e sommata all’Iva pagata dallo stesso cessionario o committente al posto del cedente o prestatore, con il meccanismo del reverse charge.
Prima di addentrarci nel discorso relativo al reverse charge, evidenziamo che l’Agenzia non vede in automatico l’Iva che viene addebitata con fattura cartacea da enti non commerciali con attività commerciale inferiore a 65.000 euro, e forse non vede nemmeno quella che potrebbe addebitare un cedente della Repubblica di San Marino.
Ciò premesso, importi rilevanti di imposta possono essere detratti dopo aver effettuato il reverse charge, cioè assolto l’Iva al posto del cedente o prestatore, emettendo una autofattura o integrando la fattura del fornitore. Chiaramente l’imposta assolta deve confluire poi come debito nella liquidazione Iva.
L’Iva che viene assolta con reverse charge confluisce nel quadro VJ della dichiarazione Iva, il quale riporta dei campi per il cosiddetto “reverse charge interno” e per quello “estero”.
Il reverse charge estero si effettua in particolare quando si fanno acquisti comunitari, quando si è committenti di prestazioni di servizi con territorialità italiana, rese da soggetti passivi stabiliti all’estero, e quando si acquistano da soggetti stabiliti all’estero beni che già si trovano in Italia.
In tutti i casi di “reverse charge estero” l’operazione va comunicata con l’esterometro, e, logica vuole che tale comunicazione riporti come imposta o come titolo di non imponibilità quello applicato dal cessionario o committente italiano con reverse charge.
Ad esempio, se un soggetto italiano riceve una fattura da un trasportatore tedesco e la integra con Iva, andrà indicato l’imponibile e la relativa imposta integrata, mentre se dovesse integrarla con l’articolo 9, andrà indicata la causale N3.4.
Ricordiamo che, con le nuove specifiche tecniche, in esterometro è stata eliminata la possibilità di utilizzare la causale “N6”, che le specifiche tecniche 1.5 consideravano applicabile in caso di “inversione contabile (per le operazioni in reverse charge ovvero nei casi di autofatturazione per acquisti extra UE di servizi ovvero per importazioni di beni nei soli casi previsti)”.
Una anomalia presente nelle precedenti specifiche tecniche e non eliminata con la versione 1.6, è che qualora il fornitore indicato nell’esterometro sia di un Paese comunitario, come tipo di documento potrà essere messo solo “TD10 Fattura per acquisto intracomunitario di beni” o “TD11 fattura per acquisto intracomunitario di servizi”.
Purtroppo questa è una semplificazione difforme dalla realtà, posto che molto frequentemente fornitori comunitari cedono merce che è già presente in Italia (si pensi alle cessioni di carburante effettuate dai numerosi venditori su internet con depositi in Italia), e quindi non si è in presenza di una operazione comunitaria.
Inoltre, a tali complessità si aggiungerà la Brexit e le implicazioni connesse agli scambi con il Nord Irlanda. Di ciò, chiaramente, dovranno tenerne conto le software house.
Il reverse charge estero, ad oggi, viene effettuato dalla quasi totalità dei soggetti in forma cartacea: al ricevimento di un documento cartaceo (o in formato elettronico, ma extra SdI, come un Pdf via mail), si procede alla stampa del documento estero, all’emissione della autofattura cartacea o all’integrazione del documento cartaceo, ed alla conservazione analogica di tali documenti.
Vero è che l’Agenzia, già nel passato, aveva precisato che era possibile inviare una specie di “autofattura” a SdI per smaterializzare questa operazione, ma la cosa è stata sconsigliata da tutti, per la confusione informatica che poteva generarsi anche nei controlli dell’Agenzia.
A questo riguardo, la novità delle nuove specifiche che sembra andare incontro a chi intende smaterializzare completamente la fase del reverse charge, è l’istituzione di tre nuovi codici del “tipo documento”, che sono TD17, TD18 e TD19, utilizzabili per il reverse charge da farsi su servizi acquistati da soggetti stranieri, sugli acquisti comunitari, e su acquisti di beni da soggetti stranieri.
La logica di tali nuovi codici dovrebbe essere quella di rendere possibile che, già in sede di registrazione del documento estero, il sistema informativo possa creare un file xml da inviare all’Agenzia con i dati del fornitore estero e l’importo dell’Iva da assolvere, che oltre ad eliminare l’incombenza di dover comunicare l’operazione nell’esterometro, eviti proprio la stampa e la conservazione cartacea del documento integrato o dell’autofattura, ed inserisca l’operazione nel corretto rigo del quadro VJ della dichiarazione.
Analoga logica sembra avere il “tipo documento” “TD16 – integrazione reverse charge interno”.
Tale codice consente al cessionario o committente di una operazione in reverse charge interno (acquisto di rottami, di servizi di pulizia, subappalti edili, pallet usati, ecc…), di inviare a SdI un documento che sostituisce l’integrazione della copia cartacea della fattura del fornitore (elettronica inviata via SdI).
Dalle specifiche tecniche capiamo che se generiamo questo file xml da inviare a SdI, come cedente/prestatore andrà messo colui che ha ceduto il bene o prestato il servizio (ad esempio l’impresa di pulizia).
A parere di chi scrive, nel documento dovrebbe essere valorizzata l’imposta che si è assolta in reverse charge, anche se tale modus operandi non consente di determinare in che rigo del quadro VJ inserire l’operazione (salvo che l’Agenzia non riesca a incrociare questo documento con il campo “natura” inserito nella fattura emessa dal fornitore). L’alternativa (indicazione di un codice della famiglia N6), permetterebbe di individuare il rigo di competenza, ma non l’imposta assolta in reverse charge (si pensi ad esempio a chi riceve le fatture di subappalto edile, che le integra talvolta al 4% altre volte al 10% ed altre volte ancora al 22%).
In conclusione, le nuove specifiche tecniche, che per molti saranno solo una complicazione, per altri potrebbero essere uno stimolo per una maggiore automatizzazione dei processi amministrativi ed una eliminazione di documenti cartacei.
Tuttavia, molti chiarimenti sono necessari e, considerati i tempi di aggiornamento dei software gestionali utilizzati in particolare nelle grandi aziende, tali chiarimenti sono già in estremo ritardo.