Nuovi elementi, ok all’integrazione dell’accertamento
di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 576 depositata in cancelleria in data 15 gennaio 2016 effettua importanti precisazioni sulla portata dell’articolo 43 del DPR 600/73, in materia di reiterazione dell’avviso di accertamento. Il citato articolo 43, al quarto comma, recita testualmente: “Fino alla scadenza del termine (…) l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’Ufficio delle imposte”. Disposizione di analogo tenore è peraltro contenuta nel quarto comma dell’articolo 57 del DPR 633/72 anche ai fini IVA. La previsione legislativa è pertanto chiara e sancisce che la reiterazione di un avviso di accertamento può avvenire:
- entro i termini di decadenza dell’azione di accertamento;
- in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi;
- con indicazione specifica, a pena di nullità, dei nuovi elementi, degli atti e dei fatti che sono venuti a conoscenza dell’ente accertatore.
Il tema delicato è rappresentato proprio dall’esatta identificazione di quelli che possono essere considerati “nuovi elementi” non conosciuti all’Ufficio accertatore. Nella sentenza n. 576 la Suprema Corte prova a fare chiarezza, evidenziando che tale circostanza non può essere semplicemente limitata alla mera sopravvenienza di nuovi elementi reddituali, nel qual caso si sarebbe in presenza certamente di eventi che legittimano l’adozione di un nuovo avviso di accertamento. Invero, precisano i supremi giudici, “l’ampia dizione utilizzata nella disposizione di legge, che richiede genericamente la sopravvenienza di nuovi elementi, legittima il ricorso all’avviso di accertamento integrativo allorchè l’ufficio, successivamente all’accertamento originario, venga a conoscenza di elementi fattuali, probatoriamente rilevanti, sconosciuti al momento dell’emissione dell’avviso originario. Il contenuto preclusivo dell’articolo 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 deve essere limitato al divieto, rebus sic stantibus, di emettere un avviso di accertamento integrativo sulla base della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già noti all’ufficio al momento dell’avviso originario”.
In termini assolutamente pratici, a parere della Corte di Cassazione, non può essere assolutamente ammessa la reiterazione dell’avviso di accertamento quando l’Ufficio proceda ad una semplice riconsiderazione dei dati in suo possesso; viceversa, la segnalazione proveniente da altro Ufficio periferico, che evidenzia come il contribuente accertato abbia realizzato altri redditi (nel caso in esame trattasi di un accertamento con adesione concluso in altra fattispecie ed in altra regione, con evidenziazione di un reddito più elevato), legittima in toto l’emissione di nuovo atto integrativo, posto che trattasi di circostanza di fatto che costituisce “(…) sicuramente elemento nuovo sopravvenuto, probatoriamente rilevante ai fini fiscali e legittimamente utilizzabile ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento integrativo previsto dall’articolo 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600”. Dunque non trattasi solo della concreta emersione di nuovi redditi (l’ipotesi ricorrente, ad esempio, è quella del contribuente accertato con un maggior reddito nei cui confronti successivamente, a seguito di controllo incrociato su una presunta “cartiera”, viene anche contestato l’utilizzo di false fatture, con dunque ulteriore incremento dell’imponibile da accertare e necessario nuovo atto integrativo), ma anche ogni segnalazione reddituale utile proveniente da enti e/o uffici diversi rispetto all’Ufficio competente che ha emesso l’atto e del tutto ignara allo stesso.
In relazione alla problematica di cui si discute, sicuramente particolare è l’ipotesi della reiterazione dell’avviso di accertamento da parte del medesimo Ufficio sulla base delle risultanze delle indagini finanziarie: si pensi, ad esempio, al contribuente accertato a seguito di una verifica fiscale afferente i dati contabili e successivamente riaccertato in funzione delle informazioni bancarie. A parere di chi scrive, una simile evenienza non rappresenta un nuovo elemento venuto a conoscenza dell’Amministrazione finanziaria, atteso che l’Ufficio, a ben vedere, sin dall’inizio è in possesso di tutti gli elementi anche per controllare il contribuente tramite un’indagine finanziaria. Sul tema è esplicativa la sentenza, ben motivata, della CTR Roma, sezione 22, n. 240/22/2013, emessa in data 27 marzo 2013 e depositata in data 12 agosto 2013, secondo cui, tra l’altro, “(…) dal momento che i conti correnti bancari dei soci erano disponibili sin dalla verifica effettuata nei confronti della (…) ben avrebbero potuto i verificatori accedere agli stessi, senza attendere la chiusura della verifica a carico della società, e non già in epoca successiva, iniziativa che avrebbe potuto essere consentita esclusivamente in presenza di elementi nuovi, non conosciuti al momento della chiusura delle indagini, e “specificatamente indicati” – nell’avviso – “a pena di nullità”. (Cfr. Cass. sent. n. 10526/06)”.
Il requisito indispensabile, pertanto, è che l’ufficio accertatore al momento del primo accertamento non abbia alcuna cognizione, nemmeno potenziale, delle ulteriori informazioni di cui solo successivamente viene in possesso. Se invece trattasi di mera scelta della tecnica accertativa utilizzata, ogni eventuale ripensamento della stessa non può rappresentare un “elemento nuovo”, con conseguente impossibilità di reiterare l’accertamento come sancito dall’articolo 43 del DPR 600/73.