Nuovo accordo Confindustria sulla rappresentatività sindacale
di Luca Vannoni
In data 10 gennaio 2014 Confindustria, CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto un importante accordo, a chiudere il percorso iniziato il 28 giugno 2011 e continuato con l’accordo 31 maggio 2013, volto a definire regole certe, nelle relazioni industriali, per la rappresentanza sindacale in azienda.
Prima di entrare nel merito dell’accordo, è opportuno un breve cenno alla situazione attuale delle relazioni sindacali.
L’acceso dibattito sulla riforma del diritto del lavoro, e sui due ultimi tentativi, la Riforma Fornero e il Decreto Lavoro, hanno infatti messo in secondo piano le problematiche del diritto sindacale con cui professionisti e aziende si trovano a confrontarsi. Centinaia e centinaia di contratti collettivi nazionali, spesso dall’articolato abnorme ed estremamente complesso, appoggiano le loro fondamenta su un quadro normativo estremamente instabile: dall’inapplicabilità dell’art. 39 della Costituzione, che avrebbe portato a norme certe per l’efficacia della contrattazione collettiva, è discesa l’estensione delle regole del diritto civile, e del contratto individuale, ad accordi collettivi, con le scontate criticità nel caso in cui i contratti collettivi non siano sottoscritti da tutte le principali sigle sindacali. Senza addentrarci ulteriormente in questioni eccessivamente tecniche, il quadro di sostanziale armonia tra CGIL, CISL e UIL, che ha dominato le relazioni sindacali del dopoguerra e ne garantiva l’equilibrio, ha subito profonde crepe a partire dal 2008, con accordi separati nei principali settori, come l’industria metalmeccanica e il commercio, e con la fuga dalla contrattazione collettiva nazionale da parte di FIAT, che si è regolamentata esclusivamente con un accordo aziendale di primo livello. La frammentazione sindacale ha messo in evidenza le carenze del quadro normativo: quale contratto collettivo applicare in azienda, soprattutto nei confronti dei lavoratori iscritti a sindacati non firmatari rispetto a quello che l’azienda intende applicare?
Tale debolezza genetica, depotenzia sostanzialmente uno dei principi ispiratori del moderno diritto del lavoro: una semplificazione e alleggerimento del corpus normativo mediante i rinvii e le deleghe alla contrattazione collettiva per la regolamentazione di dettaglio.
A complicare ulteriormente il quadro, la Corte Costituzionale, nell’estate scorsa, ha “riletto” l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, riconoscendo, con un interpretazione costituzionalmente orientata ma letteralmente iperbolica, la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali anche ai sindacati non firmatari del contratto collettivo applicato, purché abbiano partecipato alle relative trattative.
Nel tentativo di riportare ordine, almeno nella propria area di ingerenza, Confindustria ha sottoscritto, come detto, l’accordo 10 gennaio 2014, definito ambiziosamente Testo Unico sulla rappresentanza.
L’accordo si compone di 4 parti:
- Misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria;
- Regolamentazione delle rappresentanze in azienda;
- Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale;
- Disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento.
Se la misura e la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, mediante la misurazione dei dati associativi attraverso le deleghe relative ai contributi sindacali e i dati elettorali ottenuti nelle elezioni delle RSU, al momento non sono ancora attive, in quanto il numero delle deleghe dovrà essere rilavato dall’INPS mediante apposita sezione nell’UNIEMENS, non ancora istituita (nell’accordo si fa riferimento al secondo semestre del 2014), immediatamente operativa è la parte relativa alla regolamentazione delle rappresentanze in azienda.
Innanzitutto si prevede che in ogni singola unità produttiva con più di 15 dipendenti, le parti contraenti (CGIL, CISL e UIL) potranno adottare una sola forma di rappresentanza tra RSA e RSU.
Nel caso in cui l’azienda, o l’unità produttiva, sia stata interessata da operazioni straordinarie o trasferimenti disciplinati dall’art. 2112 del c.c. che determinino “rilevanti mutamenti nella composizione delle unità produttive interessate”, si procederà con nuove elezioni entro 3 mesi dal trasferimento, fermo restando la validità della RSU in carica fino alla costituzione della nuova.
Per la costituzione delle RSU, si procede mediante elezione a suffragio universale e a scrutinio segreto tra liste concorrenti. A differenza del passato, non sono più previste quote riservate di 1/3 per le oo.ss. stipulanti il contratto nazionale applicato.
I componenti delle RSU restano in carica tre anni: in caso di cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente ne determina la decadenza e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituto.
Riguardo alla contrattazione aziendale, esercitata per le materie delegate e con le modalità previste dal CCNL, si prevede l’efficacia e la vincolatività degli accordi per il personale in forza, se approvati dalla maggioranza dei componenti RSU. In caso di presenza delle RSA costituite ex art. 19 L. 300/70, per l’efficacia è richiesto che tali accordi siano approvati da rappresentanze di oo.ss. destinatarie della maggioranza delle deleghe, a cui dovrà seguire una votazione di approvazione da parte dei lavoratori.
Ampliando la prospettiva, e concludendo, la contingenza settoriale dell’accordo apre a due possibili scenari: o interverranno nuovi accordi sindacali per i settori non toccati dall’accordo Confindustria (come il commercio, l’artigianato e le piccole e medie industrie), oppure sarà opportuno procedere con a livello normativo. I recenti fatti di cronaca, con la FIOM che cerca di delegittimare dall’interno l’accordo appena sottoscritto anche dalla propria confederazione, la CGIL, porta a pensare che solo con un intervento normativo si potrà finalmente avere un sistema di relazioni sindacali moderno e certo.