Come noto, in vigenza del citato regime, l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 17/E/2017 (Parte II, § 3.1) aveva chiarito che potevano accedere al beneficio coloro che:
- già svolgevano un’attività lavorativa nel territorio dello Stato nel momento in cui trasferivano la residenza fiscale in Italia; ovvero
- trasferivano la residenza in Italia prima ancora di iniziare lo svolgimento di una attività lavorativa, a condizione che fosse ravvisabile un collegamento tra i due eventi.
A tale riguardo, l’Agenzia delle entrate aveva precisato che l’attività lavorativa si considerava iniziata:
- in caso di lavoro autonomo, alla data risultante dalla dichiarazione di inizio attività, ai sensi dell’articolo 35, D.P.R. 633/1972;
- in caso di lavoro dipendente, alla data da cui decorreva l’obbligo della prestazione lavorativa e l’obbligo della remunerazione, indipendentemente dalla natura a tempo indeterminato o determinato del rapporto stesso.
Nella risposta a istanza di interpello n. 919-114/2018, l’Agenzia delle entrate – Direzione regionale della Calabria – aveva ribadito che poteva accedere al beneficio, anche chi trasferiva la residenza prima di iniziare lo svolgimento dell’attività lavorativa, a condizione che fosse ravvisabile un collegamento tra i due eventi.
In particolare, era stato affermato che potevano invocare il regime degli impatriati i soggetti che, alla data di trasferimento della residenza fiscale in Italia, fossero già in possesso di un contratto di lavoro ovvero, quantomeno, un accordo finalizzato alla sottoscrizione del contratto stesso (senza soluzione di continuità tra l’attività lavorativa svolta all’estero e quella da intraprendere in Italia).
La necessità di un collegamento tra l’inizio dell’attività e il trasferimento era stata, quindi, nuovamente confermata dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 33/E/2020, nella quale era stato precisato che “in presenza del collegamento tra il trasferimento della residenza in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa (per la quale è prevista una tassazione agevolata dei redditi prodotti in Italia), possono essere oggetto di agevolazione anche gli ulteriori redditi derivanti da attività lavorative intraprese in periodi di imposta successivi al rientro (ma comunque entro il quinquennio agevolabile, nel rispetto dei limiti temporali di applicazione dell’agevolazione)”.
La giurisprudenza di merito, nel prendere posizione circa l’orientamento espresso dall’Agenzia delle entrate, non si era pronunciata in modo univoco: da una parte, infatti, si erano registrate sentenze che confermavano la necessità di verificare la sussistenza di un collegamento funzionale tra il trasferimento in Italia e l’inizio di una attività lavorativa (CGT, I Grado, di Roma, sentenza n. 2399/8/2024), dall’altra parte, invece, si erano registrate sentenze che, valorizzando esclusivamente il dato letterale della norma, avevano disatteso la tesi dell’Agenzia delle entrate (CGT, I Grado, di Milano, sentenza n. 2587/10/2023).
Ebbene, come detto, il consolidato orientamento espresso dall’Agenzia delle entrate in vigenza del previgente regime degli impatriati sembra essere stato superato con la risposta a interpello n. 66/E/2025.
L’Agenzia delle entrate, infatti, con il citato documento di prassi, ha chiarito che, ai fini dell’applicazione del nuovo regime degli impatriati, di cui all’articolo 5, D.Lgs. 209/2023, non è più necessario verificare la sussistenza di un collegamento “funzionale” tra il trasferimento della residenza fiscale in Italia e l’inizio di un’attività lavorativa dalla quale derivi un reddito agevolabile, prodotto in Italia.
Secondo l’Agenzia delle entrate, pertanto, non è necessario che al rientro in Italia sussistano i requisiti previsti dalla norma, potendo gli stessi maturare anche successivamente. In tal caso, il contribuente potrà applicare il nuovo regime al ricorrere dei predetti requisiti per i residui periodi d’imposta di fruizione dell’agevolazione, che si applica per ciascun periodo d’imposta in cui i requisiti sussistono.
A parere di chi scrive, la condivisibile tesi affermata dall’Agenzia delle entrate con la risposta a interpello n. 66/E/2025 andrebbe estesa anche al precedente regime degli impatriati, dal momento che, come correttamente osservato dalla dottrina, tra le due normative, non sussiste una differenza così rilevante da giustificare un diverso trattamento per i beneficiari del regime.