Occultamento delle scritture contabili e delega al commercialista
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 11479 del 19/3/2015, la Corte di Cassazione ha statuito che non è configurabile il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili previsto e punito dall’art.10 D.Lgs. n.74/00 in capo all’imprenditore che omette di esibire l’attestazione di tenuta delle scritture stesse presso il commercialista delegato, che tuttavia non consegna alcunché ai verificatori.
Nel caso in esame, un imprenditore ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Trieste che, riformando la decisione del Tribunale di Pordenone lo aveva condannato alla pena di sei mesi di reclusione per il reato di cui all’art.10 del D.Lgs. n. 74/00.
Il giudice di prime cure aveva assolto l’imputato per non aver commesso il fatto ritenendo, sulla base delle prove testimoniali assunte, veritiera la tesi difensiva secondo cui le scritture contabili relative alle annualità oggetto dell’accertamento fossero all’epoca effettivamente detenute dal commercialista di fiducia che, tuttavia, nulla aveva consegnato alla Guardia di Finanza che si era recata da lui su indicazione dell’imputato. Tale tesi, secondo il Tribunale, traeva alimento dalle precise dichiarazioni dei testimoni che, nel tempo, avevano avuto rapporti diretti con il commercialista dell’imputato per gli aspetti contabili connessi alle prestazioni eseguite dalla sua impresa. Il particolare rapporto di fiducia e complicità che legava i due sarebbe stato confermato, secondo il Tribunale, dalla circostanza che il commercialista era stato anche il ricettatore degli oggetti d’arte e di elettronica trafugati dall’imputato nel corso di furti e rapine, come affermato da quest’ultimo in sede di interrogatorio reso in ambito di separato procedimento.
Al contrario, la Corte di Appello aveva ritenuto fondata l’accusa mossa nei confronti dell’imputato secondo cui questi, nella sua qualità di titolare della ditta individuale ed al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, aveva distrutto le scritture contabili e i documenti, di cui era obbligatoria la conservazione, relativi agli anni 2001-2005 e 2007, sulla base del fatto che non vi era agli atti la prova di alcuna delega scritta a favore del commercialista e che le prove testimoniali non sarebbero state correttamente valutate dal primo giudice.
Con il ricorso in Cassazione l’imputato ha eccepito il vizio di insufficiente motivazione, rilevando che il giudice di prime cure aveva fondato la propria decisione sulla scorta di più testimonianze che provavano chiaramente che il commercialista era delegato alla tenuta della contabilità; di tali prove, la Corte di appello aveva ritenuto di selezionarne solo una, omettendo di considerare le altre e superando la considerazione logica circa il movente della avvenuta distruzione della documentazione da parte del commercialista delegato, ipotizzata dalla difesa, semplicemente valutandola come non credibile.
La Corte ha accolto il ricorso ritenendo sussistente l’eccepito vizio di motivazione, in quanto, secondo i Giudici di legittimità, la Corte di appello aveva fondato la propria decisione sulla base di una analisi parziale del compendio probatorio valutato dal primo giudice.
La Suprema Corte ha rilevato in particolare che “…se è vero che il contribuente che dichiari che le scritture contabili si trovano presso altri soggetti deve esibire l’attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture contabili in loro possesso, è altrettanto vero, però, che la mancata esibizione dell’attestazione o il rifiuto del soggetto terzo all’esibizione delle scritture stesse o la sua opposizione all’accesso degli organi accertatori, comportano come unica conseguenza legalmente prevista che i libri, i registri, le scritture e i documenti contabili non possono essere più presi in considerazione a favore del contribuente (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, commi 5 e 10)”.
Secondo la Cassazione, quindi, la mancata esibizione della attestazione non si trasforma automaticamente in una mancanza di prova della tenuta delle scritture da parte del terzo.
A maggior ragione ciò non può accadere nel processo penale che non prevede che la decisione sia fondata su prove legali e nel quale la ricostruzione del fatto storico che integra la fattispecie di reato si alimenta del principio del libero convincimento del giudice e non soffre i limiti probatori previsti per l’accertamento dei medesimi fatti ad altri fini.
In conformità a tale principio, legittimamente, dunque, il giudice penale può, pur in assenza di prove documentali, ricavare il convincimento della effettiva tenuta della contabilità da parte di terzi da prove, anche dichiarative, ulteriori e diverse dalla attestazione di cui all’art.53 del D.P.R. n.633/72.