Occultamento di documenti contabili anche in caso di successiva consegna
di Angelo GinexIn tema di reati tributari, ai fini della consumazione del reato di occultamento di documenti contabili, è sufficiente anche la temporanea indisponibilità delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, per cui tale reato si configura anche in caso di successiva consegna della documentazione precedentemente non esibita senza giustificato motivo.
È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 10106, depositata ieri 16 marzo, la quale si innesta nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità con sentenza 28.03.2018, n. 46049.
La fattispecie in esame prende le mosse da un’ispezione fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, alla quale non veniva fornita, per indisponibilità, la documentazione contabile da parte dell’amministratore unico della società verificata, poi consegnata all’Agenzia delle entrate per la definizione dell’accertamento tributario.
Imputato del reato di occultamento di documenti contabili ex articolo 10 D.Lgs. 74/2000, l’amministratore unico veniva condannato con rito abbreviato dal Tribunale di Taranto alla pena di un anno di reclusione perché, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, occultava tutti i documenti contabili, in modo da non consentire la ricostruzione degli affari o del loro volume.
L’appello proposto dal reo veniva rigettato e quindi la decisione di primo grado confermata anche dalla Corte di appello di Lecce. Seguiva il ricorso per Cassazione, con cui l’amministratore contestava la «mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla responsabilità e sul mancato accertamento del ravvedimento operoso».
In particolare, il ricorrente sosteneva come il verbale dell’Agenzia delle entrate confermasse l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’articolo 10 D.Lgs. 74/2000, per il quale era stato condannato. A tal fine, evidenziava che la documentazione contabile non era stata fornita alla Guardia di Finanza perché, alla data dell’ispezione da questa condotta, i documenti non erano nella sua disponibilità.
Dunque, eccepiva che tale dato era stato ritenuto dal giudice di appello irrilevante per la configurabilità del reato con motivazione apodittica e che, invece, occorreva tener conto del fatto che la documentazione contabile, una volta recuperata, era stata consegnata all’Agenzia delle entrate, prima della definizione dell’accertamento tributario.
Infine, rilevava che il procedimento fiscale veniva definito con accertamento con adesione e i redditi erano ricostruiti esattamente in base alla documentazione consegnata, come espressamente riconosciuto dalla stessa Agenzia delle entrate, con la conseguenza che nessun evento pregiudizievole si sarebbe verificato, essendo necessari, ai fini della configurabilità del reato in esame, il dolo specifico e l’impossibilità o difficoltà della ricostruzione dei redditi.
Ebbene, la Corte di Cassazione, nel ritenere inammissibile il ricorso proposto perché i relativi motivi sono manifestamente infondati, generici e ripetitivi dei motivi di appello, ha fornito importanti precisazioni circa l’elemento oggettivo del reato di occultamento di documenti contabili.
Come noto, l’articolo 10 D.Lgs. 74/2000 stabilisce che, «salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari».
Dunque, la norma non chiarisce se la “temporanea” indisponibilità possa ugualmente configurare detto reato, laddove la documentazione tributaria venga consegnata in un secondo momento, così consentendo la ricostruzione dei redditi o del volume di affari del soggetto verificato.
La Suprema Corte ha osservato che la decisione della Corte di appello contiene adeguata motivazione, senza contraddizioni e manifeste illogicità, sulla responsabilità del ricorrente, avendo rilevato la sussistenza del dolo e dell’elemento oggettivo del reato, poiché, al momento della verifica da parte della Guardia di Finanza, egli ometteva l’esibizione delle scritture contabili obbligatorie, non fornendo alcun elemento giustificativo, a nulla rilevando quindi la successiva consegna all’Agenzia delle entrate.
A corroboramento di ciò, i giudici di vertice hanno richiamato un precedente pronunciamento (cfr., Cass. sent. 28.03.2018, n. 46049), secondo cui: «il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’articolo 10 D.Lgs. 74/2000 costituisce un reato di pericolo concreto, che è integrato, nel caso della distruzione, dall’eliminazione della documentazione o dalla sua alterazione con cancellature o abrasioni, e, nel caso dell’occultamento, dalla temporanea o definitiva indisponibilità dei documenti, realizzata mediante il loro materiale nascondimento, configurandosi, in tale ultima ipotesi, un reato permanente».
In sintesi, secondo la Corte, il reato di pericolo si configura al rifiuto di esibire la documentazione contabile richiesta per la ricostruzione dei redditi e l’occultamento risulta un reato permanente.
Quindi, è stato concluso che è sufficiente anche la “temporanea” indisponibilità della documentazione per la consumazione del reato e che la successiva consegna all’Agenzia delle entrate ha fatto solo cessare la permanenza del reato.
Sulla scorta di tali argomentazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore delle ammende.