Occultamento scritture contabili: momento di consumazione del reato
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 41148 depositata in data 3 ottobre 2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente in relazione alla fattispecie penale di occultamento delle scritture contabili, reato previsto e punito dall’articolo 10 del D.Lgs. 74/2000. Più in particolare, ai fini del presente intervento si ritiene interessante focalizzare l’attenzione sul momento di consumazione del reato de quo.
Con specifico riferimento a tale ipotesi, nel caso in esame, l’imputato aveva proposto ricorso avanti la Suprema Corte censurando la motivazione resa dalla Corte di appello, secondo cui tale reato (a differenza di quanto sostenuto dal Tribunale di prime cure) si sarebbe consumato nel momento dell’accesso da parte degli operanti della Guardia di Finanza. La Corte, in pratica, avrebbe da un lato modificato la data di commissione del reato e, dall’altra, riqualificato lo stesso da distruzione della contabilità a occultamento della medesima. Da ciò sarebbe conseguita una diversa decorrenza del termine prescrizionale.
Il Giudice di legittimità ha ritenuto inammissibile il ricorso, spiegando innanzitutto che la questione di fatto prospettata dall’imputato, risolvendosi in una valutazione dell’elemento oggettivo del delitto contestato, non era soggetta a sindacato di ammissibilità.
La Corte di Cassazione ha in ogni caso illustrato che il reato di cui al richiamato articolo 10 si realizza mediante condotte alternative consistenti nella distruzione o nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. Entrambe tali condotte, si rende atto, sono state contestate nei confronti dell’imputato.
Ciò che qui preme evidenziare, in ogni caso, è l’individuazione del momento consumativo dell’illecito.
Secondo la Corte, “a differenza della distruzione che realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma al momento della soppressione della documentazione, l’occultamento – che consiste nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente che si consuma nel momento dell’ispezione, e cioè nel momento in cui gli agenti chiedono di esaminare detta documentazione (Sez. 3, n. 13716 del 07/03/2006, Rv. 234239)”.
Dunque, la Cassazione fornisce una chiara risposta in riferimento alle differenti condotte integrative del reato. Tale indicazione è assolutamente logica e riconnette proprio alla specificità dei comportamenti una diversa conseguenza in termine di tempus commissi delicti e prescrizione.
Interessante appare altresì il ragionamento della Corte in ordine alla diversa qualificazione giuridica del delitto e al divieto di reformatio in pejus in caso di impugnazione proposta dall’imputato.
Sotto tale profilo, il Giudice di legittimità ha evidenziato che:
- la Corte di appello ha il potere-dovere di qualificare correttamente il fatto, anche qualora ciò si risolva in una definizione più grave di quella ritenuta dal Giudice di primo grado;
- il Giudice dell’appello deve solo pronunciare sul fatto sottoposto al suo vaglio;
- il divieto di reformatio in pejus attiene solo alla pena, sotto il profilo della specie e quantità;
- non sussiste alcuna violazione dell’articolo 521 c.p.p., “qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono”.
Naturalmente, nel caso in questione la diversa qualificazione giuridica del fatto è risultata per l’imputato pregiudizievole in quanto ha determinato una modificazione in senso sfavorevole della considerazione del termine prescrizionale.
Anche sotto questo aspetto, la Corte di Cassazione non ha tuttavia mancato di prendere precisa posizione.
Per la Suprema Corte, infatti, “non rientra nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 3, la previsione della possibile diversità del termine di prescrizione del reato, conseguente alla diversa (e più grave) qualificazione giuridica del fatto contestato operata nella sentenza di appello rispetto a quella data dal giudice di primo grado, in quanto il divieto di reformatio in pejus riguarda il solo trattamento sanzionatorio, in senso stretto, stabilito in concreto dal giudice (Sez. 2, n. 26729 del 05/03/2013, Rv. 256649; Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Rv. 260663)”.