Onere della prova e fatture soggettivamente inesistenti
di Luigi FerrajoliOve vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente mentre, ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9588 del 05.04.2019.
Sul punto è opportuno ricordare che la Corte di Giustizia CEE, con la sentenza del 12.01.2006 relativa alle cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03 – Optigen e altri, ha affermato, proprio con specifico riferimento alla questione del trattamento da riservare ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti in quanto riconducibili ad una “frode carosello”, la rilevanza della “buona fede” del cessionario stabilendo che il “diritto di un soggetto passivo che effettua simili operazioni di dedurre l’imposta sul valore aggiunto pagata a monte non è pregiudicato dal fatto che, nella catena di cessioni in cui si iscrivono tali operazioni, senza che il medesimo soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere, un’altra operazione, precedente o successiva a quella realizzata da quest’ultimo, sia inficiata da frode all’imposta sul valore aggiunto” .
Tesi ribadita nella sentenza della Corte di Giustizia CEE 6 luglio 2006 cause riunite C-439/04 e C- 440/04 – Axel Kittel e altri, nella quale viene stabilito che “qualora una cessione sia operata nei confronti di un soggetto passivo che non sapesse e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in una frode commessa dal venditore, l’articolo 17 della VI direttiva CEE deve essere interpretato nel senso che osta ad una norma di diritto nazionale secondo cui l’annullamento del contratto di vendita, per effetto di una disposizione di diritto civile che sanzioni tale contratto con la nullità assoluta in quanto contrario all’ordine pubblico per causa illecita perseguita dall’alienante, comporti per il detto soggetto passivo la perdita del diritto alla detrazione dell’Iva. Al riguardo è irrilevante la questione se tale nullità derivi da una frode all’Iva ovvero da altre frodi”.
In queste sentenze la Corte di Giustizia CEE ha enucleato i principi cardine in materia di frodi carosello fissando in particolare le condizioni per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva corrisposta da parte dei soggetti intervenuti nel circuito fraudolento.
L’iter decisionale seguito dai Giudici europei è così riassumibile:
- i requisiti in presenza dei quali un’operazione commerciale assume rilievo ai fini Iva hanno natura oggettiva, senza che a tale riguardo alcun rilievo possa assumere lo scopo perseguito dai soggetti della transazione economica, tanto più che il “principio di neutralità fiscale osta ad una distinzione generalizzata fra le transazioni lecite e le transazioni illecite” (Corte di Giustizia sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e altri, punto 49);
- in linea di principio, dunque, il comportamento fraudolento di un operatore non incide sull’esercizio dei diritti Iva che competono alla sua controparte negoziale: ogni operazione Iva, infatti, “deve essere valutata singolarmente e il carattere di una determinata operazione nella catena di cessioni non può essere modificato da eventi precedenti o successivi” (Corte di Giustizia sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e altri, punto 46);
- pertanto, “gli operatori che adottano tutte le misure che possano essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode all’Iva ovvero di altre frodi, devono potere fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il diritto alla deduzione dell’Iva pagata a monte” (Corte di Giustizia sentenza 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03, Optigen e altri, punto 52).
Nella sostanza i Giudici europei, in nome del fondamentale principio di neutralità che regola il funzionamento dell’Iva, ribadiscono la regola generale per cui le operazioni rilevanti ai fini Iva hanno carattere oggettivo, sicché la detrazione dell’imposta assolta non può essere influenzata dalla circostanza che l’Iva sia stata effettivamente versata, a monte, dal cedente/prestatore, sempreché il contribuente non avesse, né potesse avere, conoscenza di partecipare all’operazione fraudolenta, stante il generale principio per cui gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario.