Onere della prova nelle rettifiche da transfer price
di Fabio LanduzziSpetta all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la fondatezza della rettifica relativa ai prezzi di trasferimento di cui all’articolo 110, comma 7, del Tuir, ovvero l’onere di provare che esiste uno scostamento tra il corrispettivo applicato nella transazione infragruppo ed il valore normale dei beni o dei servizi scambiati.
Così si è espressa, confermando peraltro un orientamento giurisprudenziale già consolidato, la CTR della Lombardia nella recente sentenza n. 5692 del 4 novembre 2016.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento fondato sul presupposto che i prezzi praticati in alcune operazioni di acquisto infragruppo non fossero conformi al loro valore normale.
La società ricorrente contestava sia il metodo di accertamento utilizzato per determinare il presunto valore normale dei beni oggetto di scambio, che il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, inerente la corretta ripartizione dell’onere della prova nell’ambito delle rettifiche di transfer pricing, è stato sottolineato come la norma di cui al comma 7 dell’articolo 110 del Tuir, non consente all’Amministrazione finanziaria di avvalersi in sede di verifica, prima, e di successivo accertamento, poi, di una presunzione semplice per la determinazione dei prezzi di trasferimento.
Non sarebbe perciò conforme ai principi dell’ordinamento vigente in materia, il comportamento tenuto dai verificatori laddove questi, da un lato, contestino il mancato rispetto del principio di libera concorrenza nella determinazione dei prezzi di trasferimento applicati alle transazioni controllate e, dall’altro lato, non contrappongano a quanto prodotto dalla società degli specifici prezzi espressivi del “valore normale”, determinati secondo criteri conformi a quelli definiti dalla linee guida OCSE vigenti in materia di prezzi di trasferimento.
La stessa natura antielusiva della disciplina sui prezzi di trasferimento implica che l’onere della prova relativo alla rettifica dei prezzi di trasferimento gravi sull’Amministrazione finanziaria (Cassazione, 16399/2015).
In questo modo, l’ente accertatore non può limitarsi a disattendere la documentazione prodotta dalla società ritenendola astrattamente insufficiente e inattendibile ma deve accertare in via preliminare le differenze di fiscalità tra l’ordinamento italiano e quello dei Paesi di residenza delle consociate estere che hanno partecipato alle transazioni in verifica, per poi successivamente determinare e dimostrare le differenze tra i prezzi applicati nelle transazioni in questione ed il valore normale dei beni scambiati, sulla base di dati oggettivi e riscontrabili sul mercato.
I Giudici milanesi richiamano perciò la sopra citata sentenza della Corte di Cassazione 16399/2015 la quale ha “testualmente ed inequivocabilmente statuito, confermando il suo consolidato e pregresso orientamento, che incombe certamente sull’Amministrazione finanziaria – secondo le regole generali in materia (articolo 2697, cod. civ.) – l’onere di provare la fondatezza della rettifica da transfer price, ossia la fondatezza della pretesa fiscale azionata, con riferimento allo scostamento tra il corrispettivo pattuito ed il valore normale dei beni o dei servizi scambiati“.
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