Operazioni con minimi e forfettari esteri
di Roberto CurcuLa Direttiva Iva concede agli Stati Membri di applicare dei regimi semplificati per le piccole imprese.
Da uno studio commissionato dalle autorità comunitarie nel 2017, emerse che quasi tutti gli Stati Membri adottano un regime di esenzione da Iva per le loro piccole imprese (con l’eccezione di Paesi Bassi e Spagna), e di tanto in tanto può capitare di intrattenere rapporti con “piccole imprese” di altri Paesi comunitari.
Piccole imprese che in genere non sono identificate ai fini Iva nei rispettivi Paesi, e quindi vengono di fatto equiparate ai “privati”.
Tuttavia, una minoranza dei Paesi che hanno istituito un regime delle “piccole imprese” (dei Paesi della cosiddetta “Europa a 15” solo il Belgio, la Grecia il Lussemburgo ed il Portogallo) obbliga tali soggetti alla registrazione ai fini Iva ed all’emissione di una “fattura”.
In Italia, abituati a fare le cose complicate, abbiamo in essere due regimi fiscali forfettari per le piccole imprese, obbligati a registrarsi ai fini Iva ed all’emissione di fatture (ora a determinate condizioni anche elettroniche): quello dei minimi, e quello dei forfettari.
Il regime dei minimi, oramai, dovrebbe essere in via di estinzione, posto che era applicabile fino al 2015. Dopo tale anno potevano permanere in tale regime i soggetti che già lo applicavano in precedenza, fino al quinto anno, oppure fino al 35° anno di età.
Tale regime è stato sostituito di fatto da quello dei forfettari, che dal punto di vista Iva presenta delle analogie e delle differenze.
Partiamo analizzando come devono essere disciplinate, secondo l’Agenzia delle Entrate, le operazioni che i soggetti minimi ed i soggetti forfettari italiano pongono in essere con soggetti esteri, per derivarne, a contrario, quello che dovrebbe essere il regime delle operazioni che gli operatori nazionali in regime ordinario intrattengono con tali soggetti.
Partiamo con le operazioni che vengono poste in essere dai soggetti minimi, illustrate in primis dalla circolare 36/E/2010, smentita successivamente dalla risoluzione 75/2015.
Secondo questi documenti di prassi, il soggetto minimo non fa cessioni comunitarie di beni (cioè applica il regime dei minimi), mentre fa sempre acquisti intracomunitari di beni, con la conseguenza che se acquista beni da fornitori comunitari soggetti passivi, deve assolvere l’Iva italiana integrando la fattura ricevuta. Non potendo detrarre l’Iva sugli acquisti, deve poi andare a versare l’Iva entro il 16 del mese successivo.
Quanto alle prestazioni di servizi, la circolare 36/E/2010 precisò che per quelle ricevute, ricadenti in regola generale e quindi con territorialità italiana, il soggetto minimo deve applicare l’Iva italiana con reverse charge e versare quindi tale imposta, mentre per quelle rese l’operazione non doveva considerarsi comunitaria ma interna.
Tale risposta fu poi smentita dalla risoluzione 75/2015, con la quale l’Agenzia delle Entrate, fornendo risposta ad un caso particolare, diede dimostrazione di aver capito che il fatto che una prestazione sia resa da un soggetto minimo, non può cambiare le regole di territorialità dell’imposta, con la conseguenza che se questa è individuata all’estero, Iva estera deve essere applicata, vuoi con identificazione all’estero del soggetto minimo, con OSS, o con reverse charge da parte del cliente soggetto passivo identificato nello Stato in cui il servizio si considera effettuato.
La risposta fornita dalla risoluzione era in linea con quanto prevede la Direttiva, la quale concede sì agli Stati membri la possibilità di applicare un regime forfettario o di franchigia alle piccole imprese, precludendo loro il diritto alla detrazione dell’Iva sugli acquisti, ma prevede anche, all’articolo 283, che il regime non è applicabile alle cessioni di beni e le prestazioni di servizi che si considerano effettuate in un altro Stato.
La logica della norma è chiara. Lo Stato italiano, ad esempio, ha scelto di non incassare l’Iva per le operazioni effettuate da soggetti minimi e forfettari. Ma se questi rendono una prestazione di servizi che si considera effettuata in Francia, la scelta dello Stato italiano non può influire sulla riscossione dell’Iva nel Paese transalpino.
Conseguentemente, se un soggetto minimo rende una prestazione di servizi a privato francese, deve assolvere la Tva (Iva francese) identificandosi in Francia o con OSS, mentre se la rende verso soggetto passivo francese deve mettere quest’ultimo nella condizione di assolvere la Tva con reverse charge, e quindi emettendogli una fattura (in articolo 7-ter) e dichiarando l’operazione nel modello Intrastat.
Il regime delle operazioni effettuate dai soggetti forfettari, riassunto nella circolare 10/E/2016, non differisce poi di molto da quello dei soggetti minimi, in quanto tali soggetti, analogamente ai minimi, non fanno cessioni intracomunitarie di beni e rendono e ricevono prestazioni intracomunitarie di servizi.
Unica differenza è che secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, di dubbia compatibilità con la Direttiva comunitaria, il soggetto forfettario non fa acquisti intracomunitari fino all’importo di euro 10.000 all’anno.
Ciò chiarito, nella circolare 36/E/2010 l’Agenzia tentò di illustrare il comportamento che il soggetto passivo italiano deve porre in essere quando ha a che fare con un soggetto estero che applica il regime delle piccole imprese nel suo Paese (ad esempio uno “Small Business”, “Kleinunternehmer”, o un soggetto francese in franchigia ai sensi dell’articolo 293 B del codice generale delle imposte – CGI).
In particolare, precisò che il soggetto italiano non fa acquisti intracomunitari di beni da fornitori piccole imprese, e quindi nel caso in cui la piccola impresa comunitaria venda beni che vengono spediti dal suo Paese in Italia, il cessionario italiano deve limitarsi a registrare il costo, e comunicare l’operazione in esterometro come un fuori campo (interpretazione da ritenersi corretta e confermata dalla risposta ad Interpello 431/2022).
Quanto chiarito dalla circolare 36/E/2010 relativamente all’acquisto di prestazioni generiche, invece, deve ritenersi errato (e superato).
In base alle regole del sistema delineate, il committente italiano che acquisti un servizio generico dalla piccola impresa comunitaria deve assolvere l’Iva in Italia con reverse charge, comunicare l’acquisto in esterometro e – se è obbligato all’obbligo – comunicare l’operazione nel modello Intrastat; con le nuove regole, non essendo più necessario inserire il numero di partita Iva del fornitore, l’adempimento è anche tecnicamente realizzabile.