Operazioni inesistenti e detrazione: non basta il ragionevole sospetto
di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariLa circolare della Guardia di Finanza n. 1/2008, nel capitolo dedicato al riscontro analitico-normativo sull’osservanza della disciplina IVA, elenca le finalità del contribuente ottenute a seguito dell’emissione e dell’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Tra gli obiettivi illegittimi sono state citate operazioni volte a usufruire di detrazioni non dovute ovvero a compensare indebitamente l’IVA a debito e da ultimo ad aumentare il volume d’affari con l’intento di ottenere anticipazioni bancarie o finanziamenti, stornando successivamente le medesime attraverso l’emissione di note di credito finalizzate all’abbattimento del debito d’imposta ai fini IVA e del relativo ricarico ai fini delle imposte sui redditi. Il legislatore, a sua volta, ha provveduto a inserire nella normativa IVA e precisamente al comma 7 dell’articolo 21 del D.P.R. 633/1972 il precetto di seguito esposto: “se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
La giurisprudenza precisa con la sentenza della Cassazione 7289/2001 che quanto stabilito dal legislatore ha lo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione. E proprio di detrazione ex articolo 19 del D.P.R. 633/1972, connessa a operazioni inesistenti, si è parlato all’interno della recente sentenza della Cassazione n. 23065/2015, nella quale l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza della CTR Lombardia. Tra le varie motivazioni addotte vi è appunto la violazione e falsa applicazione dell’articolo 19 e dell’articolo 56 del D.P.R. 633/1972 nonché dell’articolo 2697 del cod. civ., le quali si basano principalmente sulle seguenti affermazioni:
- è onere del contribuente dimostrare l’effettività delle operazioni e dei costi, una volta che l’Ufficio disconosca i costi dedotti allegando e dimostrando in giudizio elementi che inducano il ragionevole sospetto che le operazioni esposte in fattura siano inesistenti;
- l’Ufficio non è tenuto a provare l’inesistenza delle operazioni generanti i costi, ma deve solo indicare il fatto costitutivo della pretesa, e cioè l’inesistenza, e gli elementi sui quali fonda il ragionevole sospetto dell’inesistenza, a prescindere dall’effettiva idoneità di tali elementi a fondare il sospetto.
La Cassazione argomenta la pronuncia partendo innanzitutto dal binomio “regolarità delle scritture contabili – diritto alla detrazione”, avvalorando quindi il concetto che il diritto alla detrazione non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili e nel caso di specie dalla fattura, quale documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa. Pertanto, a seguito di contestazione in ordine alla illegittima detrazione, spetta alla stessa Amministrazione finanziaria dimostrare, anche attraverso elementi presuntivi, adducendo la falsità del documento, che l’operazione non è mai stata posta in essere. Sul punto anche la citata circolare della Guardia di Finanza conferma l’onere probatorio spettante in capo all’Agenzia delle entrate precisando: “se in linea di principio spetta ovviamente all’Amministrazione fornire detta prova, ove vengano acquisiti elementi, anche a livello indiziario, tali da far emergere la possibile fittizietà dell’operazione, compete al contribuente provare la legittimità e la correttezza della detrazione”.
Il rigetto del ricorso pertanto è dovuto al fatto che la ricorrente ha dimostrato solamente l’esistenza di un ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza delle operazioni, il quale non si configura nell’inesistenza vera e propria delle stesse. La pronuncia specifica che la medesima deve essere provata anche mediante presunzioni, ribadendo che gli elementi presuntivi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza depongono nel senso proprio dell’inesistenza e non nel senso del ragionevole sospetto di inesistenza. Pertanto, sulla base della giurisprudenza e della prassi citata nel presente intervento, si rileva che, sebbene l’onere della prova in relazione alla legittimità della detrazione sia in capo al contribuente, spetta prima all’Agenzia delle entrate identificare l’inesistenza dell’operazione, con modalità non limitata al ragionevole sospetto, dalla quale dovrebbe derivare l’illegittima detrazione.