26 Ottobre 2016

Le operazioni di liquidazione come contemperamento di interessi diversi

di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Tra i poteri attribuiti ai liquidatori vi è quello disciplinato dal primo comma dell’articolo 2489 del codice civile, il quale stabilisce che i medesimi, salvo diversa disposizione statutaria ovvero adottata in sede di nomina, hanno il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società. La sentenza del Tribunale di Milano del 26-05-2011 dispone in merito all’entità del ruolo ad essi spettante, affermando che la sfera di operatività dei liquidatori delle società di capitali non è limitata ad atti meramente liquidatori, ma si estende anche ad attività più propriamente gestorie, seppure in un’ottica conservativa; ai liquidatori deve perciò essere riconosciuta una competenza gestoria ampia che li rende arbitri nel gestire i tempi, i modi e le condizioni della realizzazione dell’attivo sociale, con le uniche limitazioni che possono derivare dall’atto costitutivo o dalla delibera dell’assemblea che li nomina. In riferimento a ciò si rammenta che la lettera c), del comma 1, dell’articolo 2487 dispone in merito alla delibera concernente i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione ed ai poteri dei liquidatori, con particolare riguardo:

  • alla cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi;
  • agli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, ivi compreso il suo esercizio provvisorio, anche di singoli rami, in funzione del migliore realizzo.

Il potere, circoscritto dalle limitazioni derivanti dalle disposizioni statutarie o da quelle contenute nella delibera assembleare di nomina, secondo l’OIC 5, è pur sempre finalizzato al compimento di tutti e soli quegli atti che sono suscettibili di massimizzare il valore di realizzo delle attività, per rendere il più ampio possibile l’importo da ripartire ai soci alla chiusura della liquidazione. Se da un lato esiste quindi l’interesse ad amplificare al massimo il risultato delle operazioni di vendita, come stabilisce la pronuncia della Cassazione n. 6220 del 2013, secondo cui “la liquidazione di società non è funzionale solo al pagamento dei debiti sociali, ma anche alla ripartizione del residuo tra i soci, dei cui interessi si deve tener conto nelle operazioni di liquidazione del patrimonio sociale, durante le quali, pertanto, permane l’interesse della società ad ottenere il corrispettivo più alto possibile dalla vendita dei suoi beni”; dall’altro sussiste l’obbligo di ottemperare alle disposizioni che tutelano i creditori. Infatti, qualora, nella fase di liquidazione di una società di capitali, le ragioni dei creditori non siano state ancora soddisfatte, la finalità di soddisfazione dei crediti è preminente su quella di realizzazione dello scopo sociale o di immediata utilità per la liquidazione; pertanto, l’interesse dei soci al migliore realizzo dei beni può ricevere una compressione a fronte di quello dei creditori di vedere soddisfatti i propri crediti. Le considerazioni addotte, scaturenti dalla sentenza del Tribunale di Milano del 26-05-2011, non sono le uniche a palesare questa preminenza di intenti, che risulta disciplinata anche dal comma 1 dell’articolo 2491, il quale stabilisce che, nell’eventualità che i fondi disponibili risultino insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere proporzionalmente ai soci i versamenti ancora dovuti. La richiesta di codesti versamenti risulta condizionata quindi dall’insufficienza dei fondi disponibili, che si configura sicuramente in una situazione di crisi, ma anche in una situazione di temporanea illiquidità.

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