Operazioni soggettivamente inesistenti e “buona fede” del cessionario
di Luca ProcopioLa negazione del diritto alla detrazione dell’Iva pagata a monte nell’ipotesi di operazioni di acquisto soggettivamente inesistenti, come emerge dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cfr., ex pluribus: sentenza 22.10.2015, causa C-277/14, PPUH Stehcemp; sentenza 13.2.2014, causa C-18/13, Maks Pen EOOD; ordinanza 6.2.2014, causa C-33/13, Jagiello; sentenza 18.7.2013, causa C-78/12, Evita-k e sentenza 21.6.2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid) e dalla nostra giurisprudenza di legittimità (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 9588/2019, 20298/2018, 2912/2018, 1116/2018, 23166/2017, 5406/2016 e 25779/2014), è condizionata, in primo luogo, al fatto che l’Agenzia delle entrate provi che il soggetto cessionario/committente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il reale fornitore del bene o del servizio non era il soggetto emittente la fattura e che il proprio acquisto si iscriveva in un’evasione perpetrata dal soggetto fatturante.
Sul punto, è noto che l’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione ritiene sufficiente che l’Agenzia delle entrate alleghi che il soggetto fatturante era sfornito di una dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della fornitura (provando ciò anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti) e l’immediatezza dei rapporti tra fatturante e soggetto cessionario (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 8846/2019, 3591/2019, 27566/2018; 10001/2018, 3473/2018, 2398/2018 e 30559/2017).
Una volta che l’Agenzia delle entrate abbia assolto il proprio onere probatorio, spetta al contribuente cessionario provare la propria la propria “buona fede“, ossia di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere soggettivamente inesistente dell’operazione di acquisto, nonostante l’impiego della condotta propria di un operatore avveduto e diligente.
A tal ultimo riguardo, importanti indicazioni provengono dalla recente sentenza n. 8205/30/19 depositata il 07.06.2019 dalla CTP Roma, che ha annullato un avviso di accertamento in cui l’Agenzia delle entrate disconosceva il diritto alla detrazione dell’Iva corrisposta da un’impresa individuale su operazioni di acquisto di merce effettuate solo “cartolarmente” presso due società fornitrici, che a loro volta avevano acquistato i beni da soggetti passivi Iva stabiliti in altri Stati dell’Unione europea.
Nello specifico, dalle motivazioni della sentenza emerge come i giudici di prime cure, in maniera condivisibile a parere di chi scrive, abbiano escluso che l’imprenditore cessionario potesse essere consapevole della “qualità di Missing Trader“ dei soggetti emittenti la fattura, principalmente alla luce delle seguenti circostanze di fatto allegate e provate dal medesimo imprenditore:
- a) la merce acquistata veniva ritirata dal soggetto cessionario presso il locale di deposito indicato dalle stesse società fatturanti, nel “quale erano presenti persone addette apparentemente alla custodia e alla consegna della merce”, e,
- b) l’acquisto della merce era avvenuto a condizioni di mercato, in quanto venduta dalle apparenti società fornitrici a «prezzi uguali o superiori alla media degli altri fornitori», con l’effetto, continuano i medesimi giudici, che il soggetto cessionario «potesse non sospettare minimamente della triangolazione».
Con riferimento al primo elemento di fatto, si evidenzia che, se è vero che la “mera” circostanza che i beni siano stati effettivamente consegnati non è dirimente rispetto alla prova che il soggetto cessionario abbia partecipato inconsapevolmente all’evasione realizzata dal soggetto fatturante, in quanto fatto insito nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 11668/2019, 23984/2018; 958/2018; 3474/2018; 8091/2017 e 17818/2016), non è revocabile in dubbio che nella prospettiva del soggetto cessionario l’apparente disponibilità da parte del soggetto “fatturante” di un locale di deposito presso cui viene ritirata la mere acquistata e la presenza all’interno di quest’ultimo di persone che consegnano la merce costituiscono oggettivamente elementi di fatto che fanno apparire il medesimo “fatturante” come dotato di una struttura organizzativa idonea all’esercizio dell’attività imprenditoriale e alla fornitura dei beni acquistati.
Con riferimento alla seconda delle indicate circostanze di fatto, si osserva che la posizione assunta dalla CTP Roma, oltre ad non essere nuova nella giurisprudenza di merito (si veda CTP Reggio Emilia n. 34/2/18), trova implicitamente riscontro positivo in un orientamento nutrito della giurisprudenza di legittimità secondo cui elemento sintomatico dell’inesistenza soggettiva dell’operazione commerciale e della possibilità che il soggetto cessionario se ne avvedesse può essere costituito dall’applicazione in fattura di prezzi inferiori a quelli mediamente applicati nel mercato di riferimento (cfr., ex pluribus: Cass. nn. 3473/2018, 5128/2015, 20260/2013, 9107/2012, 16671/2011 e 867/2010).
In ultimo, si rappresenta come i giudici di prime cure, ad ulteriore suffragio della ritenuta incolpevole partecipazione dell’impresa cessionaria alle frodi Iva perpetrate dalle due società emittenti la fattura, hanno suggestivamente messo in risalto, molto probabilmente come elemento sintomatico della “serietà” dell’impresa stessa e del non essere essa un operatore economico dedito ad alimentare evasioni o frodi Iva perpetrate da terzi, la peculiare circostanza che l’impresa in questione fornisce i propri beni e servizi quasi esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione, senza mai essere stata esclusa dai procedimenti ad evidenza pubblica.