Opzione put: per la Cassazione è lecita e meritevole di tutela
di Angelo GinexÈ lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. opzione put) entro un dato termine ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società. È questo l’interessante principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 17498 del 4.07.2018.
La fattispecie trae origine da una pronuncia del Tribunale di Milano, successivamente avvallata anche dalla Corte d’appello, che sanciva la nullità del patto parasociale, con cui uno dei contraenti, nell’ambito dell’organizzazione di una “cordata” per l’acquisizione di una banca, concedeva all’altro un’opzione put in merito all’acquisto del 14,99% del capitale sociale della banca medesima, da esercitare entro un preciso lasso temporale e comprensiva anche degli interessi e dei versamenti eseguiti a patrimonio netto.
In particolare, i giudici di merito ritenevano che il citato patto parasociale violasse il divieto di patto leonino di cui all’articolo 2265 cod. civ., poiché esso, comportando l’esclusione totale ed assoluta del socio dalla partecipazione agli utili ed alle perdite, avrebbe implicato un trasferimento totale del rischio d’impresa a carico dell’altro socio, così snaturando la causa e la natura della partecipazione nella società.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della clausola in analisi, ha effettuato un accurato esame sia del divieto di patto leonino, sia dell’opzione put, sviscerando la struttura e la causa giuridica di entrambi gli istituti.
In primo luogo, per quanto concerne il divieto ex articolo 2265 cod. civ., i giudici di piazza Cavour hanno ricordato come esso, seppur applicabile a tutti i tipi di società commerciali esistenti, non riguardi i rapporti interni fra i vari soci: la sua ratio, infatti, consiste nella necessaria suddivisione dei risultati della società, la quale, nonostante l’opzione put, continuerà ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali. Sostanzialmente, il divieto di patto leonino non risulta violato perché il rapporto partecipativo del beneficiario della clausola in esame rimane invariato nei confronti dell’ente collettivo, avendo effetto solo nei rapporti fra i soci contraenti.
In secondo luogo, la Suprema Corte è passata alla valutazione della liceità e della meritevolezza dell’accordo, analisi necessaria per stabilire la validità di un qualsiasi patto atipico.
L’orientamento ormai consolidato e assolutamente pacifico della giurisprudenza di legittimità è nel senso che l’autonomia riconosciuta ai privati dall’articolo 1322 cod. civ. nella creazione degli strumenti negoziali non espressamente disciplinati dall’ordinamento vada subordinata ad una verifica in ordine alla natura degli interessi che gli stessi intendono portare a compimento (cfr., Cass., sentenza n. 22950/2015).
A tal fine, è necessario vagliare la causa concreta dell’accordo stretto fra le parti, cioè la ragione pratica dell’affare, allo scopo di valutarne l’esistenza, la liceità e la meritevolezza (cfr., Cass., sentenza n. 4628/2015).
L’esame svolto dal Supremo Consesso ha permesso di evidenziare la natura mista della causa concreta dell’opzione put: essa, infatti, presenta la classica funzione associativa tipica del contratto di società, ma anche una funzione di finanziamento, alla quale sono connesse sia la garanzia della titolarità azionaria sia la facoltà di uscire dalla compagine sociale, senza che ciò provochi la liquidazione dell’ente.
Dunque, il soggetto che investe nella società mediante l’acquisizione di partecipazioni con opzione put ha un interesse meritevole di tutela, consistente nel finanziamento dell’ente atto a potenziare o incrementare il valore societario.
Secondo una suggestiva teoria, peraltro, l’ammettere una clausola di questo tipo comporterebbe l’introduzione di un recesso occulto nel sistema del diritto societario, ipotesi non prevista dal legislatore. La Corte di Cassazione, alla luce sia della recente apertura normativa alle azioni riscattabili sia del fatto che tale operazione non porterebbe alcun nocumento al patrimonio sociale, ha reputato il richiamo al recesso inopportuno.
In conclusione, la Suprema Corte ha escluso la nullità di una siffatta operazione negoziale: essa risulta lecita e meritevole di tutela in quanto persegue un interesse tutelato dall’ordinamento e non in contrasto col divieto di patto leonino, stante l’assoluta indifferenza della società alle vicende giuridiche che avvengono nei rapporti interni fra i soci.