Pagamento rateale dell’imposta evasa e sequestro preventivo
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 40244 depositata in data 29 settembre 2014, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, si è pronunciata in relazione alla possibilità per l’indagato, che abbia raggiunto con l’Amministrazione Finanziaria un accordo di natura transattiva per la rateazione del debito tributario, di evitare di essere assoggettato al provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca per equivalente.
In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 606, lettera b), c.p.p., avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva annullato il decreto di sequestro, argomentando che l’intervenuto accordo di rateazione tra il contribuente indagato e l’Amministrazione Finanziaria non fosse idoneo alla caducazione del sequestro per equivalente.
La Cassazione, dunque, è stata chiamata ad esprimersi sul seguente quesito: la (futura) definizione integrale della pretesa tributaria, prospettata tramite accordo tra il contribuente e il Fisco, può far venire meno il profitto e, conseguentemente, il presupposto per la confisca per equivalente, di cui il sequestro costituisce prodromo? Qualora la risposta fosse positiva, chiare sarebbero le conseguenze favorevoli per l’indagato.
La Suprema Corte, invece, ha negato questa possibilità, con articolata motivazione che merita di essere esaminata nel suo iter espositivo.
Innanzitutto, nella sentenza in esame viene premesso che, nel caso in cui il profitto del reato sia stato interamente restituito all’Erario, la ratio della confisca verrebbe meno, travolgendo il decreto di sequestro preventivo, che rimarrebbe dunque senza giustificazione.
Peraltro, viene specificato che, mentre nella restituzione del profitto questo viene individuato nell’imposta evasa, la confisca per equivalente ha la finalità di impedire che colui che ha evaso si assicuri il vantaggio a cui l’evasione stessa era stata preordinata. Conseguenza di tale specificazione è che non vi sia alcuna possibile duplicazione della sanzione, stante la diversa natura delle fattispecie.
Per quanto concerne la nozione di profitto, la Corte ha ritenuto di conformarsi alla precedente pronuncia della giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. V, Sent. n. 1843/2011), che ha statuito a tale riguardo il principio per cui, in materia di reati tributari, il profitto è rappresentato da “qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione dell’illecito e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento degli interessi e delle sanzioni dovute in seguito all’accertamento del debito tributario“.
Sotto il profilo penale tributario, dunque, la Corte argomenta che il profitto, oltre all’ammontare dell’imposta evasa, comprende anche le sanzioni e le altre somme eventualmente dovute e che lo stesso debba essere inteso come un vero e proprio risparmio di spesa che non esclude vantaggi ulteriori per il soggetto evasore.
Secondo la Cassazione, l’autonomia tra i due sistemi, penale e fiscale, impone al Giudice penale una propria valutazione di ciò che costituisce il profitto del delitto tributario, da intendersi in ogni caso come il vantaggio economico conseguente all’evasione fiscale.
Ciò ha portato la Suprema Corte ad accogliere il ricorso proposto dal Pubblico Ministero nel caso di specie, in quanto, secondo il Giudice di legittimità, proprio in ragione della distinzione tra i due sistemi e i rispettivi piani di operatività, il pagamento rateale del debito tributario non ha effetto estintivo, in considerazione del concetto di vantaggio.
Stante la specifica natura dell’accordo intercorso tra l’Erario e il contribuente, si legge nella motivazione in esame, che non prevede il pagamento in un’unica soluzione bensì un versamento rateizzato dell’importo dovuto, il permanere del sequestro per equivalente non è ritenuto illegittimo, in quanto non vi è una duplicazione di apprensione da parte dello Stato.
Ciò in quanto non è detto che all’accordo faccia seguito l’effettivo pagamento delle rate come concordate, che in difetto di successivo versamento porterebbe ad ulteriore aggravamento del debito tributario in essere.
Peraltro, come osservato dalla Corte, il pagamento delle imposte, seppure possa valere quale circostanza attenuante secondo quanto previsto dall’art. 13 del D.Lgs. 74/2000, non esclude tuttavia il reato stesso. Solamente nella fase del merito, la questione dell’avvenuto ed effettivo pagamento delle imposte potrà eventualmente influire sulla determinazione delle somme da assoggettare a confisca e, se del caso, all’esclusione della stessa.