Paradisi fiscali 2019 tra disciplina Cfc e rimpatrio di utili
di Ennio VialIl periodo di imposta del 2019, oggetto di dichiarazione in scadenza il prossimo 30 novembre, presenta per la prima volta una chiara scollatura tra il principio di individuazione dei paradisi fiscali ai fini della disciplina sulle controlled foreign companies, e quello di individuazione dei paradisi fiscali ai fini della valutazione degli utili percepiti.
Ai fini dei dividendi, anche per il 2019 operano sia il comma 1007 dell’articolo 1 L. 205/2017, sia il principio di diritto n. 17/2019.
In sostanza, in base al comma 1007, se un utile matura in un esercizio in cui il Paese estero è white, quell’utile sarà per sempre white.
Diversamente, se l’utile dovesse maturare quando il Paese non è white, la questione non è gestita dal comma 1007 per cui, secondo il citato principio, trova applicazione il chiarimento dato nella circolare 35/E/2016 che qui omettiamo.
L’aspetto su cui vogliamo soffermarci attiene al fatto che, fino al 2018, il criterio per giudicare la natura paradisiaca di un Paese estero ai fini della disciplina Cfc e ai fini dei dividendi è identico: si confronta il livello impositivo nominale estero con il 50% del livello nominale di Ires ed Irap sommati.
In sostanza, si confronta il livello nominale estero con la soglia italiana del 13.95%. Analogo criterio valeva anche per il 2017 ed il 2016, solo che, per quest’ultima annualità, la soglia di riferimento era fissata al 15.7% in quanto l’Ires era fissata al 27.5%.
L’identità del criterio portava quindi alla seguente conclusione: se il Paese estero non risultava paradisiaco, i redditi prodotti dalla società estera non andavano imputati per trasparenza (quindi, in sostanza, non trovava applicazione la disciplina Cfc) e l’utile maturato in quell’anno, a prescindere dal momento in cui esso veniva distribuito, non poteva esser mai considerato paradisiaco.
Nel 2019 la questione si complica. In linea generale possiamo dire che la disciplina Cfc si addolcisce, in quanto un Paese Estero può essere considerato paradisiaco solo se sono soddisfatte congiuntamente le seguenti due condizioni:
- il livello di tassazione (ora effettivo e non più nominale) inferiore al 50% di quello effettivo teorico italiano;
- la società estera svolge, per oltre 1/3, una attività passiva. In relazione a tale criterio il comma 4 dell’articolo 167 Tuir definisce sette casistiche di attività passiva.
Ben potrebbe accadere, pertanto, che un Paese estero con fiscalità nulla non sia considerato paradisiaco in quanto l’attività svolta dalla società estera non considerata “passiva”.
La tassazione per trasparenza viene scongiurata.
In passato avremmo affermato che gli utili maturati nell’anno sarebbero stati per sempre white a prescindere dal momento di distribuzione. Nel 2019 questa conclusione non è più valida in quanto la disciplina al fine dei dividendi è diversa:
- in caso di controllo, il Paese estero sarà considerato black se il livello di tassazione effettivo è inferiore al 50% di quello italiano;
- in assenza di controllo, il Paese sarà considerato paradisiaco se il livello nominale di tassazione è inferiore al 50% di quello italiano.
Il dividendo non può mai essere considerato paradisiaco se proviene da un Paese comunitario.
Limitandoci ad esaminare il caso del controllo, emerge immediatamente come, la mancata tassazione per trasparenza derivante dal mancato svolgimento dell’attività passiva non esclude la natura paradisiaca del dividendo, in quanto l’unico criterio di valutazione è rappresentato esclusivamente dal livello impositivo effettivo.
Quindi, una Cfc forse più dolce per il 2019; tanto i conti verranno fatti al momento di effettiva percezione degli utili.