30 Marzo 2019

Paradisi fiscali e tassazione integrale dei dividendi

di Marco Bargagli
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In linea di principio, gli utili distribuiti sono esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95% del loro ammontare.

Tuttavia, come previsto dall’articolo 89, comma 3, Tuir, l’esclusione da tassazione non spetta per gli utili paradisiaci provenienti da società e enti di ogni tipo residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato.

Sul punto, per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 142/2018, i nuovi criteri per individuare le società localizzate in un tax haven sono contenuti nell’articolo 47-bis, comma 1, Tuir, a mente del quale i regimi fiscali di Stati o territori, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, si considerano privilegiati:

  1. nel caso in cui l’impresa o l’ente non residente o non localizzato in Italia sia sottoposto al controllo ai sensi dell’articolo 167, comma 2, Tuir da parte di un partecipante residente o localizzato in Italia, qualora siano assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia (ex articolo 167, comma 4, lett. a), Tuir);
  2. in mancanza del requisito del controllo, qualora il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia. In merito, rilevano anche i regimi speciali che non siano applicabili strutturalmente alla generalità dei soggetti svolgenti analoga attività dell’impresa o dell’ente partecipato, che risultino fruibili soltanto in funzione delle specifiche caratteristiche soggettive o temporali del beneficiario e che, pur non incidendo direttamente sull’aliquota, prevedano esenzioni o altre riduzioni della base imponibile idonee a ridurre il prelievo nominale al di sotto  del predetto limite e sempreché, nel caso in cui il regime speciale riguardi solo particolari aspetti dell’attività economica complessivamente svolta dal soggetto estero, l’attività  ricompresa  nell’ambito  di  applicazione  del regime speciale risulti prevalente, in termini di ricavi ordinari,  rispetto alle altre attività svolte dal citato soggetto.

Prima delle modifiche normative introdotte dal citato D.Lgs. 142/2018, la tassazione integrale dei dividendi poteva essere disapplicata qualora fosse stato dimostrato, anche a seguito dell’esercizio dell’interpello di cui all’art. 167, comma 5, lettera b), che dalle partecipazioni non conseguiva l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato.

Attualmente, tale disposizione è stata “traslata”, mantenendone sostanzialmente inalterato il contenuto, nel nuovo articolo 47-bis, comma 2, lett. b), Tuir: in particolare, per poter disapplicare la tassazione integrale degli utili provenienti da paradisi fiscali, occorre dimostrare, sin dal primo periodo di possesso della partecipazione, che dalle partecipazioni non consegua l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato.

In via residuale, ai sensi dell’articolo 47-bis, comma 2, lettera a), Tuir qualora il soggetto non residente svolga  un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali, al soggetto controllante residente in Italia viene riconosciuto  un credito d’imposta, ai sensi dell’articolo 165 Tuir, in ragione delle imposte assolte dall’impresa o ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili.

Per poter invocare l’esimente che consente la disapplicazione della tassazione integrale dei dividendi paradisiaci, ex articolo 47-bis, comma 2, lett. b), Tuir il contribuente, come detto, deve dimostrare che “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a fiscalità privilegiata”.

A tal fine si citano i chiarimenti diramati da parte dell’Agenzia delle entrate, con la circolare 51/E/2010, che si è espressa anche sul tema dei dividendi e dei costi sostenuti con Stati o territori a fiscalità privilegiata.

In particolare, per poter invocare l’esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lett. b), Tuir, il citato documento di prassi ha posto in evidenza che l’articolo 5, comma 3, D.M. 21.11.2001, n. 429 prevede che, ai fini della risposta positiva all’interpello, rileva, in particolare, nei riguardi del soggetto controllante, il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti (i.e. le società partecipate estere che distribuiscono dividendi) sono prodotti in misura non inferiore al 75% in altri Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata e ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria.

Tale circostanza ricorre quando la controllata estera abbia prodotto direttamente redditi di fonte estera, in misura non inferiore al 75% del totale tramite, ad esempio, una stabile organizzazione o in virtù del possesso di cespiti immobilizzati, localizzati e sottoposti a tassazione fuori dagli Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Detta circostanza può ricorrere anche quando:

  • la partecipata estera, pur avendo la sede legale in un Paese o territorio black list, svolge esclusivamente la propria principale attività, ovvero è fiscalmente residente ovvero ha la sede di direzione effettiva in uno Stato non compreso nella black list, nel quale i redditi da essa prodotti sono integralmente assoggettati a tassazione; oppure quando
  • la partecipata estera è localizzata in uno Stato o territorio diverso da quelli a fiscalità privilegiata e opera in un tax haven mediante una stabile organizzazione, il cui reddito è assoggettato integralmente a tassazione ordinaria nello Stato di residenza della casa madre.

In generale, ai fini del riconoscimento dell’esimente che consente la disapplicazione della disciplina CFC e, simmetricamente della tassazione integrale dei dividendi, assume rilevanza il carico fiscale complessivamente gravante sul gruppo societario in relazione ai redditi prodotti da una CFC appartenente al medesimo gruppo.

Tale parametro risulta dirimente per verificare il rispetto sostanziale dell’esimente prevista dall’articolo 167, comma 5, lett. b) Tuir, che è quella di garantire che i redditi prodotti dalla CFC siano tassati in misura congrua.

In particolare, come si legge nella citata circolare 51/E/2010, la ratio della disposizione in esame va considerata in linea di principio soddisfatta quando il tax rate effettivo “complessivamente scontato” sui redditi prodotti dalla CFC risulti congruo rispetto al livello di imposizione vigente in Italia.

In altri termini, in caso di catene societarie che coinvolgano più Paesi, la suddetta condizione sarà rispettata quando l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia in linea con l’imposizione italiana, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione.

Infine, considerato che l’inclusione di uno Stato o territorio nella previgente black list emanata con il D.M. 21.11.2001 è stata effettuata dal legislatore non solo in ragione del livello di tassazione effettivamente applicabile sul reddito delle società ivi residenti, ma anche della mancanza di un completo ed efficiente scambio di informazioni con l’Amministrazione finanziaria italiana, assumerà rilievo ai fini del riconoscimento dell’esimente in rassegna la presentazione di una documentazione idonea a dimostrare la sistematica distribuzione verso l’Italia dell’utile proveniente dalla CFC.

Ciò, ovviamente, nel presupposto che l’imposizione effettiva complessivamente gravante sull’utile ante imposte della CFC sia congrua rispetto al livello di imposizione gravante in Italia, a prescindere dal luogo in cui il reddito si considera prodotto e dallo Stato (o dagli Stati) in cui avviene detta tassazione.

A parere dell’Agenzia delle entrate, la sistematica distribuzione dei dividendi da un lato rafforza la dimostrazione della carenza di intenti elusivi, dall’altro immette l’utile prodotto dalla CFC in circuiti totalmente accessibili all’Amministrazione finanziaria italiana ai fini dell’acquisizione delle relative informazioni.

Con riferimento alla documentazione necessaria per dimostrare l’assenza di intenti elusivi riferiti alla partecipazione detenuta nella CFC (ex articolo 167, comma 5, lett. b), Tuir) la circolare 51/E/2010 ha chiarito che il contribuente è tenuto a presentare la documentazione contabile e fiscale (bilancio, dichiarazione dei redditi, etc.) idonea a dimostrare che i redditi conseguiti dalla società estera collegata o controllata sono prodotti in misura non inferiore al 75% in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria.

In particolare, dovrà essere esibita la documentazione fiscale attestante l’effettivo ed integrale assoggettamento dei redditi medesimi a tassazione ordinaria nell’anno per il quale è richiesta la disapplicazione della normativa, unitamente alla sintetica illustrazione del sistema di tassazione vigente, ai fini delle imposte sui redditi, nel Paese o territorio di produzione dei redditi.

Infine, prosegue il citato documento di prassi, nel caso in cui si voglia invocare la seconda esimente prevista dall’ordinamento tributario dimostrando la congruità del “carico fiscale complessivo di gruppo”, il contribuente dovrà produrre dati e documenti da cui risulti la composizione e le modalità di determinazione del reddito della società black list di livello più elevato, l’eventuale distribuzione di tale reddito alle società sovraordinate, sino alla controllante residente e la misura della tassazione cui è stato complessivamente assoggettato il reddito prodotto dalla CFC.

In particolare, qualora il contribuente voglia disapplicare la normativa in rassegna, è tenuto a esibire:

  • il bilancio certificato della CFC di livello più elevato e il prospetto di calcolo delle imposte dovute nello Stato black list di localizzazione in base alla normativa locale, corredato della normativa applicabile, della dichiarazione dei redditi (qualora presentata) e della dimostrazione del pagamento delle imposte anche a titolo di acconto o ritenuta;
  • copia della delibera o delle delibere di distribuzione degli utili della CFC approvate nel corso dell’esercizio di riferimento;
  • bilancio delle società cui è stato eventualmente distribuito l’utile della partecipata estera, con prospetto di calcolo delle imposte dalle stesse dovute nel relativo Stato di localizzazione con riferimento agli utili ricevuti dalla CFC, e documentazione attestante il pagamento delle predette imposte anche a titolo di acconto o ritenuta.
La fiscalità internazionale nella dichiarazione dei redditi