Parlare in pubblico: il gatto che c’è in noi
di Laura MaestriParlare di fronte ad un pubblico è una delle sfide che, più di altre, mette a dura prova le proprie sicurezze: anche quando si è ferrati sull’argomento che si andrà ad esporre e anche se si conoscono gli ascoltatori, c’è un momento in cui il proprio equilibrio emotivo vacilla e si è pervasi dalla sensazione che sia tutto sbagliato.
Non ci si sente più realisticamente competenti per intervenire, non si è più così certi che il pubblico sia favorevole, non si ricorda nemmeno la prima battuta con cui avevamo deciso di aprire il discorso. Tutto questo, il più delle volte, accade un attimo prima di presentarsi all’audience. Perché succede questo? Com’è possibile che tutta la razionalità venga spazzata via in un solo istante da una fugace emozione?
Una delle risposte risiede nelle reazioni del proprio corpo agli stimoli del nostro secondo cervello: quello che abbiamo nell’addome. In questa profonda parte del corpo risiedono più di cento milioni di neuroni: è di fatto un piccolo, secondo cervello, della dimensione di quello di un gatto. E, come perlopiù si comporterebbe un domestico felino, non è molto propenso ad ubbidire agli ordini del cervello primario: ha una sua autonomia e prende ottime decisioni per nostro conto. Ad esempio, converte il cibo di cui ci nutriamo in energia a disposizione per tutto il corpo, ci difende da sostanze tossiche, gestisce nel miglior modo possibile eccessi di cibo o di bevande ed in genere lavora molto bene, senza che nessuno glielo spieghi o glielo imponga.
I due cervelli comunicano fra di loro attraverso il nervo “vago” ed inviano segnali reciproci: quando sentiamo le famigerate “farfalle nello stomaco”, stiamo parlando della connessione emotiva trasmessa, in modo del tutto inconsapevole, dal cervello primario a quello secondario.
Gli impulsi viaggiano a doppio senso: in qualche occasione, e in particolare quando siamo in procinto di affrontare una prova ad alto impatto emotivo come quella di affrontare un pubblico, il gatto che c’è in noi manda al cervello primario segnali di disagio e di paura. L’emozione negativa che offusca la mente non è altro che il messaggio inconscio che il nostro secondo cervello invia alla nostra parte razionale: percepiamo i sintomi della paura prima ancora di renderci conto di provarla e, soprattutto, di comprenderne l’origine.
Ci sono molte tecniche per “addomesticare” il secondo cervello: sono buoni alleati una respirazione profonda e il dialogo interno positivo, tanto per cominciare. Ma prima ancora, può aiutarci la consapevolezza della capacità del proprio corpo di costruire emozioni così accese da compromettere l’imminente prestazione sul palco. Comprendere razionalmente cosa stia succedendo nel proprio inconscio è il primo passo per trasformare la paura e l’ansia in energia positiva, utilissima a rendere la propria esposizione più vigorosa e brillante!