Secondo i giudici dell’Unione, eccezion fatta per i requisiti indicati dalla norma in esame, relativi allo status di soggetto passivo, al trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario e allo spostamento fisico dei beni da uno Stato membro ad un altro, nessun altro requisito può essere richiesto per qualificare un’operazione come cessione o acquisto intraunionale di beni. Questa conclusione vale anche per il numero di identificazione del cessionario, che assume rilevanza esclusivamente sul piano probatorio per qualificare il destinatario del bene come soggetto passivo d’imposta e che non è, quindi, in grado di incidere sul regime impositivo dell’operazione, a meno che l’assenza del suddetto codice impedisca la dimostrazione dei presupposti sostanziali o che l’operatore abbia partecipato ad una frode (causa C-587/10 del 27 settembre 2012; causa C-24/15 del 20 ottobre 2016; causa C-273/11 del 6 settembre 2012).
In modo del tutto analogo, neppure l’iscrizione nell’archivio VIES del cessionario assume rilevanza sostanziale, per quanto idonea ad ottenere la conferma del numero di identificazione delle controparti, consentendo allo stesso tempo alle Autorità fiscali nazionali di controllare le operazioni intracomunitarie e di rilevare eventuali irregolarità. Ciò che rileva, in definitiva, è che il cessionario sia un soggetto passivo che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso da quello di partenza dei beni, laddove la nozione di soggetto passivo è quella definita dall’articolo 9, par. 1, della Direttiva n. 2006/112/CE, che fa riferimento esclusivamente a chi svolge, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, quali che siano gli scopi e i risultati di tale attività (causa C-21/16 del 9 febbraio 2017).
La Commissione europea, allo specifico fine di contrastare le frodi in materia di IVA, propone l’obbligo, per il cessionario, di disporre del numero di identificazione IVA valido in uno Stato membro diverso da quello in cui ha inizio il trasporto dei beni quale requisito sostanziale per consentire al cedente di applicare l’esenzione.
Non solo: ai fini della detassazione viene previsto che il codice identificativo del cessionario sia incluso nel modello INTRASTAT relativo alla cessione, considerato essenziale per informare lo Stato membro di arrivo della presenza dei beni nel suo territorio, essendo dunque un elemento chiave nella lotta contro le frodi nell’Unione.
Come accade già oggi, la Commissione evidenzia che il cedente, prima di applicare l’esenzione, dovrà verificare lo status del cessionario attraverso il sistema VIES, ma in assenza di disposizioni che attribuiscano una specifica valenza sostanziale all’iscrizione del codice identificativo nell’archivio dovrebbero conservare validità le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia nella citata sentenza di cui alla causa C-21/16.
Del resto, l’iscrizione nell’archivio VIES, così come disciplinata dall’articolo 17 del Reg. UE n. 904/2010, non è una prerogativa dei soggetti passivi intenzionati ad operare in ambito intraunionale, costituendo piuttosto una banca dati in cui i singoli Stati membri iscrivono i soggetti passivi ai quali hanno attribuito il numero di identificazione indipendentemente dall’ambito territoriale di operatività dichiarato in sede di richiesta di attribuzione della partita IVA. In quest’ottica, l’articolo 23 del citato Regolamento stabilisce che gli Stati membri escludono l’iscrizione del numero identificativo o provvedono alla sua cancellazione dall’archivio se il soggetto passivo non esercita più un’attività economica, risultando invece irrilevante, ai fini in esame, che l’operatore sia inattivo in ambito intraunionale.