I passaggi interni di beni tra attività separate: sempre imponibili IVA?
di Marco PeiroloPer i passaggi interni di beni tra attività separate, l’articolo 36, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che “si applicano le disposizioni di cui agli articoli 21 e seguenti, con riferimento al loro valore normale, e le annotazioni di cui agli articoli 23 e 24 devono essere eseguite nello stesso mese”.
A parte la questione, di non poco conto, se il passaggio interno si verifichi già al momento della separazione, si pone il dubbio se, da un lato, la fatturazione dei beni trasferiti da un’attività all’altra debba essere effettuata sempre in regime di imponibilità e, dall’altro, se il parametro del “valore normale” sia ancora attuale dopo le modifiche operate dalla L. n. 88/2009 (Comunitaria 2008).
L’incertezza si manifesta in vari settori, come quelli finanziario ed immobiliare.
In merito al primo aspetto dubbio, se il trasferimento all’attività esente ha per oggetto beni che, “per natura”, rientrano nell’esenzione, è di fondamentale importanza stabilire se la fatturazione debba essere comunque operata con addebito dell’IVA o in base al regime proprio del bene, vale a dire l’esenzione.
A livello amministrativo, la R.M. n. 450565 del 1990 ha precisato che “i passaggi interni di beni fra attività separate devono essere regolarmente fatturati con riferimento al valore normale dei beni trasferiti, anche se hanno per oggetto operazioni esenti (come avviene per le cessioni di titoli)”.
Tale indicazione potrebbe intendersi nel senso che il passaggio interno è sempre imponibile e, sulla stessa scorta, una parte della dottrina ha sostenuto che l’esenzione non è applicabile in quanto prevista per le sole cessioni a terzi.
Ad una diversa conclusione deve, invece, giungersi considerando che la previsione dell’articolo 36, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972, riferita al passaggio interno di beni, trova corrispondenza, sul piano unionale, nell’articolo 18, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, che dà diritto agli Stati membri dell’Unione europea di assimilare ad una cessione di beni a titolo oneroso “la destinazione di un bene da parte di un soggetto passivo ad un settore di attività non assoggettato ad imposta, quando detto bene ha dato diritto ad una detrazione totale o parziale dell’IVA al momento dell’acquisto o della sua destinazione (…)”.
Tale assimilazione implica, pertanto, che al bene oggetto di trasferimento interno debba essere applicato il medesimo regime impositivo che si applicherebbe in caso di cessione a terzi, sicché ben può verificarsi l’ipotesi della fatturazione esente da IVA ed in questo senso depongono le indicazioni (anche) recentemente fornite dall’Agenzia delle Entrate in tema di assegnazione/estromissione agevolata dei beni.
Ma non solo.
Non bisogna, infatti, dimenticare che le fattispecie qualificate dalla normativa unionale come autoconsumo “per destinazione”, nel cui ambito rientrano i passaggi interni di beni, perseguono un obiettivo ben preciso: in conformità con il principio sancito dall’articolo 1, par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE, si vuole evitare che il bene giunga al consumo finale completamente detassato, sia “a monte”, per effetto dell’esercizio della detrazione, sia “a valle”, in assenza di una cessione a titolo oneroso.
L’esigenza di impedire che il bene giunga al consumo privo di imposizione giustifica, dunque, la tassazione.
E, per le operazioni in esame, la modalità di applicazione dell’imposta non è quella “ordinaria”, prevista per le cessioni “in senso stretto”, benché ad esse assimilate, ma è attuata sotto forma di recupero dell’imposta detratta in sede di acquisto. In pratica, così come indicato nell’articolo 74 della Direttiva n. 2006/112/CE, la base imponibile è determinata in funzione non già del prezzo di vendita, ma del prezzo di acquisto (per i beni acquistati da terzi) o di costo (per i beni prodotti dall’impresa).
Risulta, pertanto, evidente che le disposizioni che disciplinano le operazioni senza corrispettivo, nella cui sfera sono riconducibili i passaggi interni tra attività separate, sono preordinate a garantire la neutralità dell’IVA, evitando che il bene che ha dato diritto alla detrazione “a monte” fuoriesca dal circuito economico senza scontare l’imposta.
In linea allora con la funzione “correttiva” attribuita alle previsioni che equiparano i passaggi interni di beni alle cessioni a titolo oneroso, l’articolo 36, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 non può giustificare l’imponibilità se, “a monte”, non è stata operata la detrazione, come si verifica per esempio nei casi in cui l’immobile oggetto di trasferimento tra attività separata sia stato acquistato presso un privato consumatore o un operatore economico ad esso assimilato nell’ambito della specifica operazione posta in essere, avendo applicato il regime di esenzione alla cessione.
Infine, passando al secondo dubbio precedentemente evidenziato, occorre rilevare che, essendo la citata disposizione figlia dell’articolo 18, lett. b), della Direttiva n. 2006/112/CE, anche il riferimento al “valore normale” contenuto nella norma nazionale deve essere opportunamente inteso. Nella specie, non già come prezzo di vendita, ma come prezzo di acquisto o di costo, in linea peraltro con le indicazioni fornite dalla Corte di giustizia, che considerano applicabile il parametro del valore normale limitatamente ai casi di sottofatturazione e di sovrafatturazione aventi ad oggetto determinate operazioni tra soggetti collegati, vale a dire quelle dell’articolo 80 della Direttiva n. 2006/112/CE (causa C-19/12, Efir; causa C-621/10, Balkan and Sea Properties; causa C-285/10, Campsa Estaciones de Servicio).
In base a questa impostazione, si evita di dover riversare all’Erario un’imposta maggiore perché commisurata non solo al valore del bene che tenga conto della sua evoluzione in termini di apprezzamento o di deprezzamento, ma anche al valore aggiunto dell’impresa, in contrasto con la funzione correttiva che deve essere riconosciuta all’articolo 36, comma 5, del decreto IVA.
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