Patent box e credito per le imposte pagate all’estero
di Davide DavidNel determinare il limite di detrazione delle imposte pagate all’estero una questione da affrontare è quella dei possibili effetti derivanti dalla applicazione del patent box.
La questione assume particolare rilievo soprattutto per le società (e le imprese in genere) che concedono in licenza a soggetti esteri beni immateriali agevolabili (brevetti, software, marchi, know-how, ecc.), ritraendone dei corrispettivi (di norma, royalties) assoggettati a imposizione nel Paese del soggetto licenziatario.
Si ricorda che, a norma dell’articolo 165, comma 1, del Tuir, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo sono ammesse in detrazione dall’imposta netta (dovuta in Italia) “fino a concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione”.
Un primo aspetto riguarda quindi la determinazione dei due redditi da porre al numeratore (reddito estero, di seguito anche RE) e al denominatore (reddito complessivo, di seguito anche RCN) del rapporto.
Per esemplificare, si faccia il caso limite di una società che nel 2015 ha maturato, quali unici ricavi, delle royalties provenienti da un unico soggetto estero (per complessivi euro 1.000) e che presenti un reddito complessivo, al lordo della quota “patent box”, di euro 600, di cui una parte, pari a euro 500, derivante da attività di ricerca agevolabili.
Si ipotizzi che la società non abbia una stabile organizzazione nel Paese estero e che abbia pagato in detto Paese imposte per euro 100 (pari al 10% delle royalties).
Per il 2015 la società potrà escludere dal reddito complessivo il 30% del reddito “patent box” e quindi il suo imponibile sarà pari a euro 450, per una Ires dovuta di euro 124.
Il primo quesito da porsi è se al numeratore del rapporto (RE) vada riportato l’intero ammontare delle royalties (al lordo dei costi) ovvero se tale ammontare vada ridotto dei costi ad esso riferibili, e se, in questa seconda ipotesi, il reddito estero vada riportato al lordo o al netto della quota “patent box”.
Nella circolare n. 9/E/2015, l’Agenzia delle entrate ha affermato che, in assenza di una stabile organizzazione, “il reddito estero, così come rideterminato in base alle disposizioni fiscali italiane, deve essere assunto al lordo dei costi sostenuti per la sua produzione, in ragione delle obiettive difficoltà nella determinazione e nel controllo dei costi effettivamente imputabili a singoli elementi reddituali”; fatta salva la possibilità di un sindacato sulla eventuale elusività di operazioni finalizzate ad una indebita “monetizzazione” del credito d’imposta.
In base a quanto chiarito nella richiamata circolare sembrerebbe quindi potersi affermare che, laddove non ci siano intenti elusivi, il reddito estero vada assunto al lordo dei costi.
Se così fosse, nel nostro esempio al numeratore (RE) andrebbe riportato l’intero importo delle royalties (pari a 1.000).
Quindi, indipendentemente dal fatto che al denominatore vada riportato il reddito complessivo ante o post “patent box”, il risultato del rapporto sarà sempre superiore a 1, e pertanto andrà assunto il valore 1, non potendosi assumere valori superiori all’unità (come precisato nella circolare 9/E/2015 e nelle istruzioni alla dichiarazione dei redditi).
Di conseguenza, nel nostro esempio, il limite di detraibilità delle imposte pagate all’estero sarà pari all’intero importo delle imposte dovute in Italia e, dato che le imposte pagate all’estero (100) sono inferiori alle imposte dovute in Italia (124), la società potrà portare in detrazione l’intero ammontare delle imposte pagate all’estero.
Se, invece, il reddito estero dovesse essere assunto al netto dei costi e della quota “patent box”, considerato che nel nostro esempio l’intero reddito è da considerare prodotto all’estero, al numeratore (RE) andrebbe riportato l’importo di euro 450. L’effetto sul credito d’imposta non dovrebbe comunque cambiare, perché è da ritenere che anche al denominatore (RCN) vada riportato il medesimo importo, con la conseguenza che il risultato del rapporto sarà pari a 1.
Tutto ciò salvo che, come si dirà in seguito, non debba applicarsi la riduzione prevista dal comma 10 dell’articolo 165 del TUIR.
Gli effetti potrebbero però essere diversi quando solo una parte del reddito è prodotto all’estero, soprattutto laddove il patent box dovesse riguardare il solo reddito prodotto in Italia.
Riprendendo l’esempio precedente si ipotizzi che le royalties estere di euro 1.000 non presentino i requisiti per beneficiare del patent box e che la società abbia maturato ricavi anche in Italia per euro 2.000, tutti derivanti da attività di ricerca agevolabili.
Si assuma poi che la società abbia prodotto un reddito complessivo di euro 900, di cui 300 all’estero e 600 in Italia e che la quota di reddito italiano agevolabile ammonti a euro 540.
Per il 2015 la società potrà escludere dal reddito complessivo il 30% del reddito “patent box” e quindi il suo imponibile sarà pari a euro 738, per un Ires dovuta di euro 203.
A questo punto, riportando al numeratore (RE) l’intero ammontare delle royalties estere il rapporto risulterà comunque superiore a 1 e quindi potrà essere portato in detrazione l’intero ammontare delle imposte pagate all’estero (pari a euro 100).
Se, invece, al numeratore si dovesse riportare il reddito prodotto all’estero (al netto dei costi sostenuti) e al denominatore il reddito complessivo (al netto della variazione in diminuzione da “patent box”) il risultato del rapporto sarà 0,41, che applicato all’Ires dovuta darà un limite di detrazione di euro 83, con la conseguenza che le imposte estere potranno essere portate in detrazione solo per tale importo, mentre l’eccedenza di euro 17 dovrà essere rinviata ai periodi successivi; il rischio sarebbe quello di non poterla mai recuperare laddove, anche nei periodi successivi, si mantenga la medesima situazione in termini di ricavi e redditi (considerato, oltretutto, l’innalzamento al 40% per il 2016 e al 50% per gli anni successivi della quota di reddito non tassabile e la riduzione dell’Ires al 24% prevista a decorrere dal 2017).
Un’altra questione da affrontare è poi quella della eventuale applicabilità di quanto disposto dal comma 10 dell’articolo 165 del Tuir, a norma del quale quando il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo, l’imposta estera deve essere ridotta in misura corrispondente.
A tale proposito, occorre capire se i redditi prodotti all’estero agevolabili con il patent box vadano considerati quali redditi che concorrono parzialmente alla formazione del reddito complessivo; in caso affermativo, occorrerà ridurre l’imposta estera in misura corrispondente, con l’ulteriore aggravio di non poter portare in deduzione dal reddito complessivo l’eccedenza d’imposta e di non poterla altrimenti recuperare in Italia (così la circolare n. 9/E/2015).
Con riguardo a tutte le suddette problematiche va peraltro considerato che il patent box ha quale finalità quella di incentivare la collocazione e il mantenimento in Italia dei beni immateriali e favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo.
Per massimizzare l’effetto incentivante, evitando conseguenze limitative sulla detrazione delle imposte pagate all’estero, occorrerebbe quindi rassicurare le imprese (in via normativa o almeno interpretativa), sia sulla irrilevanza del patent box ai fini dell’applicazione del comma 10 dell’articolo 165 del Tuir, sia sulla possibilità, per la determinazione del rapporto RE/RCN, di riportare al numeratore il reddito prodotto all’estero al lordo dei costi sostenuti e degli effetti agevolativi del patent box.