Per Assonime è deducibile la sponsorizzazione del restauro di beni culturali
di Fabio LanduzziNell’Approfondimento n. 6/2013 Assonime affronta il trattamento fiscale, ai fini delle imposte sul reddito ed Iva, delle spese di sponsorizzazione di iniziative di restauro di beni culturali, ovvero gli interventi posti in essere dalle imprese per promuovere il proprio nome, marchio, prodotti o più in generale l’attività, che hanno trovato una recente regolamentazione ufficiale nel Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 19.12.2012.
L’Allegato A del Decreto reca le norme tecniche e le linee guida applicative delle disposizioni contenute nell’art. 199-bis del D.Lgs. n. 163/2006 e nell’art. 120 del D.Lgs. n. 42/2004 in materia di:
- partecipazione di privati al finanziamento o alla realizzazione degli interventi conservativi su beni culturali, anche mediante l’affissione di messaggi promozionali sui ponteggi e sulle altre strutture provvisorie di cantiere, e
- vendita o concessione dei relativi spazi pubblicitari.
Secondo Assonime, proprio attraverso la nuova regolamentazione è stata espressamente riconosciuta la natura pubblicitaria dell’attività di sponsorizzazione dei beni culturali, qualificabile come strumento efficace per coniugare lo scopo promozionale e propagandistico perseguito dalla società sponsor e l’obiettivo di conservare e valorizzare il patrimonio culturale pubblico del Paese.
In questo senso, secondo Assonime dovrebbero ritenersi superate le precedenti obiezioni che, intravedendo nelle iniziative in oggetto un prevalente spirito di liberalità dell’impresa, portavano a negare la sussistenza dei requisiti necessari per rendere tali costi deducibili come spese di pubblicità. L’Allegato A del Decreto parla espressamente di “vantaggio promozionale” che può essere tratto dall’accostamento dell’azienda o dai suoi prodotti, ed anche di “valore pubblicitario” dell’iniziativa.
Nel rinnovato assetto regolamentare della materia:
- una prima possibilità è rappresentata dalla realizzazione dell’intervento secondo la forma della c.d. “sponsorizzazione tecnica”, ossia secondo un modello di partenariato che attiene alla progettazione ed alla realizzazione dell’intervento sotto la cura e con spese a carico dello sponsor;
- una seconda forma è quella della “sponsorizzazione pura” nella quale l’impresa sponsor si assume le spese di esecuzione delle opere di restauro, sollevando di conseguenza la Pubblica amministrazione dal sostenimento del costo;
- viene infine considerata una terza forma di c.d. “sponsorizzazione mista” con cui, di fatto, vengono combinati alcuni aspetti tipici delle prime due: ad esempio, lo sponsor cura direttamente la progettazione, e finanzia in tutto od in parte l’esecuzione dei lavori. In alcuni casi, l’accordo fra impresa sponsor ed ente pubblico può anche includere l’assegnazione allo sponsor di alcuni spazi inseriti nel contesto oggetto di restauro per lo svolgimento di specifiche attività o iniziative.
Ebbene, in tutti i casi sopra descritti, a fronte degli obblighi assunti, l’impresa sponsor ottiene quale controprestazione la promozione dei propri prodotti, della propria attività, del proprio marchio; di conseguenza, si crea un vincolo sinallagmatico tipico del contratto di sponsorizzazione il quale, unito alla chiara finalità propagandistica dell’operazione, la qualifica come pubblicitaria e conseguentemente inerente rispetto all’attività dell’impresa.
Diversamente, quando l’intervento non fosse accompagnato da alcuna controprestazione, bensì solo da un pubblico ringraziamento dell’impresa che ha finanziario l’opera, ci si ritroverebbe nell’ambito del mero mecenatismo ed essendo il fine pubblicitario del tutto mediato ed indiretto, la fattispecie verrebbe fiscalmente inquadrata fra le liberalità, con la conseguente disciplina sia ai fini IVA che delle imposte sul reddito.