3 Ottobre 2013

Per la detrazione IVA non è rilevante l’antieconomicità

di Daniele Tomarchio
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Con l’interessante sentenza n.22132 del 27 settembre scorso, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha negato la possibilità di estendere in materia di IVA i principi sanciti per le imposte dirette con riguardo al tema dell’antieconomicità.

Gli Ermellini, difatti, con la pronuncia in commento hanno cassato la sentenza n.23/2008, depositata il 10.04.2008, dalla Commissione Tributaria Regionale di Firenze, con la quale i giudici di merito, ritenendo privi dei requisiti di economicità, avevano negato la possibilità di detrarre ai fini IVA dei costi relativi ad operazioni poste in essere dalla società accertata con la propria controllata.

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di Iva, Irpeg e Irap.

La società impugnava ritualmente e tempestivamente l’avviso notificato eccependo la regolarità delle operazioni compiute e, conseguentemente, l’illegittimità dell’atto opposto.

I Giudici della CTP di Firenze riconoscevano la fondatezza delle contestazioni della ricorrente in ordine alle riprese riguardanti Irpeg e Irap, annullandole; confermavano, invece, le pretese di cui all’avviso in materia di Iva.

Appellata la decisione, i Giudici della CTR adita confermavano la sentenza impugnata ritenendo legittima la ripresa a tassazione ai fini IVA, giacché – pur riconoscendo l’inerenza e la certezza dei costi medesimi – sul piano economico la scelta di acquisire onerosamente i servizi amministrativi e gestionali confliggeva con i criteri di ragionevolezza e non poteva essere giustificata in termini di riduzione di costi o di miglioramento delle prestazioni. Peraltro, sottolineavano i giudici di secondo grado, tale operazione non solo non aveva costituito fonte di vantaggi ottenibili dalla tecnica di esternalizzazione, ma semmai, aveva comportato, in favore della società contribuente una riduzione della base imponibile in assenza di ragioni di ordine economico.

Rilevavano, infine, che la società cui erano stati affidati i servizi era una società controllata dalla committente e intratteneva rapporti esclusivamente con la controllante.

I giudici della CTR di Firenze corroboravano la loro decisione citando copiosa giurisprudenza della Suprema Corte con la quale era stato riconosciuto il potere dell’Amministrazione finanziaria di rettificare le dichiarazioni dei contribuenti considerando antieconomiche determinate scelte imprenditoriali, in base al principio secondo cui chiunque svolge un’attività economica dovrebbe indirizzare le proprie condotte verso una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti. Sulla scorta di tale indirizzo giurisprudenziale, formatosi con riferimento alle imposte dirette, la CTR si convinceva che in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, rimasto inspiegato dal contribuente, era pienamente legittimo l’accertamento anche ai fini dell’IVA.

La Suprema Corte ha innanzitutto affermato che non possono essere applicati sic et simpliciter i principi sanciti in tema di imposte dirette in merito al tema dell’antieconomicità alla materia dell’Iva. A ciò, difatti, osta il principio di neutralità proprio di tale ultima imposta garantito per tutte le attività economiche indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle attività stesse, purché siano soggette all’IVA.

La Corte di Cassazione, richiamando principi più volte espressi dalla Corte di Giustizia, ha sottolineato la centralità del diritto di detrazione nel meccanismo dell’Iva, mettendo in risalto che tale diritto non può essere limitato qualora beni e servizi siano forniti ad un prezzo inferiore o superiore rispetto al valore normale, giacché fra parti che godono del diritto di detrazione non può sussistere alcuna elusione o evasione fiscale. Né, i Giudici hanno rilevato alcun riferimento al valore del bene o del servizio nella normativa che disciplina il diritto di detrazione.

Procedendo nella disamina della questione, la Corte ha determinato in che misura può essere considerata l’antieconomicità ai fini del riconoscimento o meno del diritto a detrazione. Sciogliendo il secondo interrogativo ha stabilito che l’Amministrazione finanziaria potrà fare riferimento a tale principio tutte le volte che lo stesso rilevi quale indizio di non veridicità della fattura (o dell’operazione in se stessa) o del prezzo o della insussistenza dell’inerenza; mentre non potrà farvi ricorso in condizioni normali, sebbene il valore dei beni sia tale da produrre un risultato antieconomico (l’operazione, infatti, potrebbe essere giustificata da esigenze di natura organizzativa o consistere in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda).

Concludendo, in accoglimento del ricorso della società, la Suprema Corte ha stabilito la spettanza del diritto a detrazione considerato che nella fattispecie in questione non era stata esclusa né l’inerenza né l’esistenza della stessa operazione.