Per l’Iva in concordato non c’è pace
di Claudio CeradiniGiuseppe PolitoUna ulteriore questione, non del tutto nuova e tuttavia in consolidamento progressivo apre un nuovo fronte nella gestione del rapporto con l’Amministrazione Finanziaria nei piani concordatari. Si è più volte riferito delle divergenze interpretative sulla falcidiabilità del debito per Iva non corrisposta, in cui giurisprudenza di legittimità e di merito non hanno ancora trovato sintesi. Il quadro si arricchisce, per così dire, dell’ulteriore aspetto che attiene il corretto inquadramento dei crediti, per la parte corrispondente all’IVA di rivalsa.
La sezione I°, Cassazione Civile, con sentenza n. 24970 del 2013 è intervenuta nuovamente sul punto, dopo il precedente pronunciamento (vedi Sentenza n.12064 del 2013) peraltro assunto con riguardo ad una vicenda innestata sulla disciplina concordataria vigente prima della modifica introdotta con il D.Lgs. n.169 del 2007. Al credito per rivalsa Iva spettante al cedente di beni o al prestatore di servizi, va sempre riconosciuto il privilegio speciale sul bene ceduto o sul servizio reso – ex art. 2758 comma 2 – salvo che il patto concordatario non preveda, espressamente, la falcidia del credito medesimo ex art. 160 comma 2 della Legge Fallimentare.
La Suprema Corte, confermando di fatto la posizione già assunta con la citata sentenza n.12064 del 2013, evidenzia come da un lato all’istituto del concordato preventivo non sia applicabile l’articolo 54 L.F. in quanto non espressamente richiamato dall’articolo 168 L.F. per il quale è il creditore tenuto a far valere il proprio diritto (pegno, ipoteca o privilegio quale che sia), e dall’altro come il privilegio sia una “qualità del credito riconosciuta dall’ordinamento in ragione della sua causa” e, quindi, slegato dall’esistenza o meno nel compendio patrimoniale del debitore del bene sul quale grava il privilegio. Solo l’introduzione della facoltà per il debitore che ricorra al concordato preventivo di limitare la soddisfazione dei creditori privilegiati alla sola parte di credito che troverebbe capienza nell’ipotesi di liquidazione del bene gravato, permette il pagamento limitato del credito per Iva di rivalsa o il degrado dello stesso al chirografo; conseguentemente, pur restando valido il principio appena citato, lo stesso deve essere coordinato con l’innovazione normativa che ha ridisegnato l’articolo 160 L.F. Il patto concordatario dovrebbe quindi prevedere una proposta che dia luogo ad una limitazione del soddisfacimento dei creditori (anche ovviamente per crediti relativi ad Iva di rivalsa) nelle modalità e con gli adempimenti previsti dall’articolo 160 co. 2 L.F., altrimenti “non può che farsi applicazione della regola generale”.
L’elemento di novità che questa impostazione introduce non è irrilevante, e crea ulteriori incertezze in fase di predisposizione del piano. Finora, infatti, la collocazione del credito per Iva di rivalsa in chirografo è stata nella realtà operativa “normalmente” sdoganata, ed ammessa in corso di procedura, anche senza scomodare l’applicazione dell’art. 160, co. 2 L.F. nel caso in cui i beni su cui insisteva il privilegio non esistessero o semplicemente non potessero essere ragionevolmente identificati, in quanto fungibili ed indistintamente acquisiti e immagazzinati.
Non a caso il privilegio in parola era stato definito autorevolmente dalla stessa Corte di Cassazione come “privilegio fantasma”, almeno con riferimento ai beni immediatamente consumabili ed alle prestazioni di mero servizio, in quanto l’oggetto del privilegio speciale o non ha alcuna materiale consistenza (nel caso di servizio) ovvero ha ad oggetto un bene che viene immediatamente inserito nel ciclo economico – produttivo dell’impresa e consumato in brevissimo tempo. La diretta conseguenza logica, quindi, è che il privilegio speciale non sussiste, perché non vi sono nel patrimonio dell’impresa i beni sul cui ricavato possa il privilegio medesimo trovare soddisfazione, anche parziale, con conseguente ed “automatica” inclusione del credito in chirografo.
Un numero sempre maggiore di Tribunali di merito sta sposando l’impostazione della Suprema Corte. L’effetto immediato è la necessità di strutturare la proposta nell’ambito della falcidia prevista dall’art. 160, co. 2, L.F., in tutti i casi in cui non sia prevista una soddisfazione integrale anche del credito per Iva di rivalsa. La collocazione, anche parziale dello stesso a credito chirografario, non sarebbe ammissibile al di fuori di quel contesto, in cui sia verificata l’esistenza o meno dei beni sui quali insiste il privilegio speciale Iva. Un comportamento diverso, oggi, rischia di produrre un ricorso ed una proposta potenzialmente inammissibili.
In sostanza, il quadro diviene preoccupante. L’effetto e la portata della novità giurisprudenziale, indipendentemente dalla consistenza giuridica della impostazione, rischia di creare non pochi problemi sia sotto il profilo di duplicazione di adempimenti e costi di procedura, sia sotto il profilo più squisitamente operativo. La prova che si richiede al perito attestatore ex articolo 160 co. 2 in questi casi rischia di diventare “diabolica” se riferita a beni fungibili. E’ molto spesso impossibile dimostrare che esiste una correlazione giuridicamente certa tra il credito di fornitura ed il bene fornito, avendo in considerazione che debbono le singole obbligazioni essere tenute distinte, e quindi le singole forniture, che costituiscono contratti separati ed autonomi. Allo stesso modo, anche escludere la correlazione, in via più che ragionevole, è estremamente difficile. Come escludere tassativamente che a magazzino non vi siano ancora delle viti, del tessuto, del legno, fungibili e non “tracciabili” nelle consistenze di magazzino, che riferiscano a forniture ancora non saldate? Ove i beni siano specifici ed individuabili (appartamenti, navi, beni mobili dotati di matricola) la questione potrebbe non porsi, ma in tutti gli altri casi diviene spinosa. Un adeguamento legislativo è perlomeno auspicabile, su questo tema così come su altri, che abbiamo più volte ricordato.