Per una corretta valutazione delle rimanenze di una azienda vitivinicola
di Emanuele ArrighettiLuigi ScappiniIl settore primario, che rappresenta una delle eccellenze del made in Italy, non è ancora stato dotato di uno specifico Principio contabile che possa guidare il redattore del bilancio in una corretta rappresentazione della realtà.
Tale necessità rappresenta un passaggio necessario per rendere il settore maggiormente competitivo e performante, in un’ottica di prosecuzione di quel percorso iniziato dal Legislatore nel lontano 2001, da cui è derivata l’introduzione delle c.d. società agricole, soggetti che sono, nella maggior parte dei casi, dotati di bilanci ma carenti di una bussola che li possa guidare.
In assenza di una guida certa, cosa che al contrario è prevista a livello internazionale con lo Ias 41 dedicato espressamente all’agricoltura, non è nemmeno possibile procedere con certezza a un’analisi comparativa nonché complessiva del settore.
Da tale situazione non è escluso nemmeno un settore trainante come quello della viticoltura.
Qualche spunto dallo Ias 41
Come accennato, il principio internazionale Ias 41 si applica specificamente al settore agricolo e in particolare alla valutazione delle attività biologiche e dei prodotti agricoli al momento del raccolto.
Tuttavia, come specificato nello stesso Ias 41, dal momento successivo al raccolto[1] trova applicazione lo Ias 2 “Rimanenze”, trasversale ai diversi settori di attività.
Lo Ias 41 specifica che un prodotto agricolo (uva) raccolto dalle attività biologiche (viti) deve essere valutato al suo fair value al netto dei costi di vendita al momento del raccolto. Tale valutazione rappresenta il costo alla data in cui viene applicato lo Ias 2 “Rimanenze”.
Considerate le tempistiche della vendemmia e della vinificazione, le rimanenze di magazzino di fine anno si riferiscono generalmente al vino sfuso (feccioso o sfecciato), alla bottiglieria “nuda” (non ancora etichettata e confezionata) e ai prodotti imbottigliati e confezionati (prodotti finiti) pronti per la vendita.
Per quanto sopra, la valutazione delle rimanenze di magazzino per il bilancio d’esercizio non avverrà generalmente sulla base dello Ias 41[2], in quanto è remota l’ipotesi che l’uva si trovi ancora sulla pianta al momento di chiusura dell’esercizio.
Lo Ias 2, inoltre, non trova applicazione (fra gli altri) per la valutazione delle rimanenze possedute da produttori agricoli di prodotti agricoli (dopo il raccolto) nella misura in cui il valore di tali rimanenze è determinato al valore netto di realizzo secondo quanto previsto da consolidate prassi di settore. Il valore netto di realizzo è specifico per ogni entità e rappresenta il prezzo di vendita stimato nel normale svolgimento dell’attività al netto dei costi stimati di completamento nonché di quelli stimati necessari per realizzare la vendita.
Nel settore vitivinicolo è prassi comune fare riferimento al costo di produzione per la valorizzazione delle rimanenze di magazzino; tuttavia, i Principi contabili internazionali e nazionali impongono un confronto di tali costi con i possibili valori di vendita[3], controllo che pare rilevante per la valorizzazione delle eventuali masse di vino sfuso destinate a essere vendute come tali. In tale scenario, infatti, i prezzi ottenibili dalla vendita a terzi sono generalmente influenzati dai valori di mercato.
Infine, considerato l’invecchiamento a cui sono sottoposti certi vini (per disciplinare e/o per scelta aziendale) gli oneri finanziari possono essere considerati nella valorizzazione delle rimanenze.
Metodologia di valorizzazione del magazzino
Ai fini di una corretta valorizzazione delle giacenze di magazzino di un’azienda vitivinicola, è necessario procedere a una determinazione del costo della produzione, suddividendo il processo in fasi distinte che ripercorrono il ciclo biologico della vigna e le lavorazioni che si susseguono durante l’anno.
Di seguito si offre un possibile criterio di individuazione e determinazione dei costi diretti e indiretti rilevanti per poter approdare a una corretta determinazione del costo di produzione del vino sfuso e dei prodotti finiti.
Sicuramente di aiuto ai fini dell’individuazione del quantitativo presente in cantina sono le c.d. dichiarazioni di vendemmia e di produzione vinicola, infatti, in ottemperanza alle disposizioni europee e nazionali, i produttori ogni anno devono procedere alla presentazione di:
- una dichiarazione di vendemmia, per la campagna viticola in cui è avvenuta la raccolta delle uve e, contestualmente, ai fini della certificazione della produzione, la rivendicazione delle uve e dei vini DOP e IGP;
- una dichiarazione di produzione relativa alla produzione di vino per la campagna viticola di riferimento.
Entrambe nel termine ordinario del 30 novembre.
Determinazione dei costi di produzione del vino sfuso
I costi di produzione di un vino sono strettamente legati a 2 fattori: da un lato la zona geografica in cui lo stesso viene prodotto e, dall’altro le scelte di coltivazione che vengono effettuate dall’imprenditore.
Nel primo caso, ad esempio, è indubbio e noto come produrre un vino in un vigneto c.d. storico sia sicuramente più costoso che farlo in una zona pianeggiante, dal che ne deriva che sicuramente un fattore rilevante è dato dalle caratteristiche geografiche e organiche di ogni vigneto.
A questo si deve aggiungere la scelta della politica produttiva praticata in tenuta. Ottenere un vino di qualità richiede una gestione sapiente del vigneto, la piena consapevolezza delle peculiarità organiche e inorganiche del terreno e la conoscenza delle tecniche per mantenerne quanto più possibile costanti nel tempo le qualità. Il riferimento va non solo a quei caratteri che emergono in maniera nitida quali la scelta, ad esempio, tra una produzione biodinamica, biologica od “ordinaria”, ma anche alla modalità stessa dell’esercizio dell’attività viticola, che può essere differente in ragione al tipo di coltivazione, alla potatura, al diradamento, tutte scelte che andranno a ripercuotersi sulla quantità e qualità del vino che verrà prodotto e di conseguenza sul costo dello stesso.
Pertanto, pare evidente come il redattore del bilancio dovrà confrontarsi con l’agronomo per delineare un modello di individuazione dei costi e quantificazione degli stessi che tenga conto delle differenze di cura e manutenzione dei vari vigneti in ordine di tempo e risorse impiegate[4].
A questo deve aggiungersi la possibile multiattività dell’azienda vitivinicola che potrebbe, ad esempio, affiancare la produzione olivicola a quella vitivinicola.
In tale circostanza, è necessario predisporre un sistema gestionale per distinguere la natura e la finalità dei costi sostenuti durante l’anno, di modo che si possano correttamente imputare le ore lavorate ai differenti settori produttivi. Inoltre, tale modello dovrà essere in grado di intercettare e quantificare le diverse lavorazioni svolte fra i vigneti[5], in funzione delle varietà coltivate[6] e dell’ampiezza della gamma di prodotti finiti. Infine, è consigliabile che tali diversificazioni trovino un riscontro non solo nel modello di valorizzazione, ma anche nell’impianto contabile adottato, attraverso, ad esempio, una diversificazione per centri di costo.
Ai fini della costruzione di un corretto modello di valorizzazione della produzione vitivinicola è necessario aver presente che la vendemmia rappresenta la linea di demarcazione fra una annata vitivinicola e la successiva.
Lo schema permette in questo modo di differenziare tra costi agrari (in rosso) e costi di cantina (in blu). I costi agrari sono presenti non solo nell’annata in corso, ma anche sulle attività preparatorie per l’annata vitivinicola successiva (le c.d. “anticipazioni colturali”).
Al contrario, i costi di cantina hanno un riferimento temporale che guarda al passato, rappresentando la conclusione dei cicli di affinamento e imbottigliamento di annate precedenti oltre che di vinificazione dell’annata in corso[7].
In base al ciclo biologico di produzione, quindi, i costi sostenuti per la produzione dell’uva dell’annata in corso sono sostenuti in un arco temporale che inizia dalla fine della vendemmia dell’anno precedente e termina con la vendemmia dell’anno in corso.
Ne deriva che la prima componente del costo di produzione dell’annata in corso è rappresentata dalle c.d. “anticipazioni colturali” sostenute l’anno precedente[8]. La principale componente di costo di questa voce è la manodopera impiegata per le attività tipiche degli ultimi mesi dell’anno, quali concimazioni, potature, semine per sovesci, manutenzioni ordinarie sul vigneto, oltre che naturalmente da tutto il materiale impiegato e dalle manutenzioni operate sugli attrezzi agricoli in preparazione al loro utilizzo più intenso nei mesi successivi, fino a nuova vendemmia[9].
Naturalmente, la manodopera impiegata nella cura del vigneto è la principale componente di costo da considerare anche per le attività agricole svolte sul vigneto da inizio anno fino alla vendemmia (ad esempio, per diradamenti, spollonature, trattamenti fitosanitari, cimatura, raccolta).
Al fine della quantificazione del costo del personale è necessario tenere traccia del tempo effettivamente trascorso sul vigneto da ogni operaio, in modo da poter determinare complessivamente le ore annue impiegate. Come anticipato, il dettaglio del tempo impiegato dagli operai agricoli è importante soprattutto nei casi in cui questi siano occupati non solo nella gestione dei vigneti ma anche, ad esempio, nella manutenzione di altre colture. Risulta inoltre molto importante non confondere il costo della manodopera da ripartire sulla produzione con il costo della manodopera attinente a opere di realizzazione/manutenzione straordinaria dei vigneti: quest’ultima quota, infatti, sarà generalmente oggetto di capitalizzazione e di ammortamento negli esercizi successivi. Successivamente, suddividendo il costo totale sostenuto per la manodopera interna (comprensivo di contributi, Tfr, etc.) per le ore effettivamente impiegate sul vigneto si può agevolmente ottenere il costo medio orario che potrà essere suddiviso sui quintali di uva raccolti. Generalmente questa procedura consente di ripartire con un buon margine di affidabilità il costo del personale sulla produzione ottenuta. Si possono tuttavia ipotizzare casi in cui siano necessari ulteriori livelli di scomposizione del costo del personale, ad esempio, quando fra un varietale e l’altro ci siano sensibili differenze di ricorso a manodopera specializzata rispetto a quella generica, oppure, quando le ore trascorse sui diversi vigneti siano apprezzabilmente diverse (ad esempio, per l’esigenza di una più accurata gestione manuale del vigneto e selezione manuale dell’uva già in fase di raccolta)[10].
Oltre alla manodopera si dovrà procedere al riparto dei costi operativi (concimi, lavorazioni esterne, materiale per manutenzione, acqua per irrigare, gasolio, etc.) e degli ammortamenti (vigneti e macchine agricole principalmente). Eventuali contributi in conto esercizio ricevuti dovranno naturalmente essere sottratti dal computo dei costi operativi, mentre eventuali contributi in conto capitale concorrono direttamente o indirettamente a ridurre il costo dell’ammortamento. Con riferimento agli ammortamenti, è inoltre ipotizzabile una scomposizione degli stessi in base ai tempi di utilizzo, al fine di distinguerne la quota post vendemmia, che potrebbe essere quindi fatta confluire fra le anticipazioni colturali.
L’insieme dei costi agrari così ottenuti dovrà poi essere ripartito sui quintali di uva raccolta, così come risultante dalla prima denuncia di produzione presentata.
Anticipazioni colturali dell’anno precedente | ||||
+ | Costo di produzione dei quintali di uva venduta[11] | Costo di produzione agrari per uva propria | ||
Costi di produzione agrari sull’annata in corso |
In aggiunta al costo dell’uva di propria produzione occorre considerare anche il costo per eventuali acquisti di uve da terzi, comprensivo delle spese di trasporto e di intermediazione e altri oneri accessori.
Al termine di questa prima fase di quantificazione del costo di produzione dell’uva propria e acquistata, si dovrà procedere con l’analisi dei costi sostenuti in cantina per il processo di svinatura e sfecciatura.
Anche per i costi di cantina è possibile ipotizzare un approccio similare a quello adottato per i costi agrari, andando di conseguenza a scomporre temporalmente tali costi al fine di attribuirli alla corretta annata vitivinicola.
Similarmente ai costi agrari, la manodopera rappresenta un elemento fondamentale anche per i costi di cantina sostenuti per la vinificazione e la sfecciatura: in questo caso il costo medio orario dovrà essere moltiplicato per le ore impiegate su tali attività e successivamente ripartito sugli ettolitri ottenuti[12].
Fra i costi operativi da ripartire si evidenziano quelli per gli esami di laboratorio, i materiali enologici, le spese di smaltimento, le manutenzioni, le utenze[13] e gli ammortamenti[14]. A tal proposito, si può osservare che alla produzione dell’annata in corso sono sicuramente attribuibili gli ammortamenti delle vasche e dei serbatoi per la svinatura, delle diverse attrezzature e macchinari impiegati dopo la vendemmia e, infine, dei locali in cui tale attività è svolta.
Per quanto riguarda l’ammortamento della cantina, in particolare, si può evidenziare come in epoca moderna la stessa molto spesso non risponde più alle sole esigenze produttive, ma rappresenti anche un vero e proprio punto di forza per la promozione dell’immagine aziendale all’interno di un percorso di turismo eno-gastronomico sempre più apprezzato dalla clientela. Ciò considerato, è opportuno attribuire alla produzione solo una quota del costo complessivo, operando, ad esempio, una ripartizione percentuale in base ai metri quadri destinati alle varie attività (produttiva, ricettiva, uffici, etc.).
Al termine di questa seconda fase di valorizzazione dei costi di produzione dell’annata vitivinicola in corso si perviene alla determinazione del costo medio di produzione per ettolitro.
Costi di produzione agrari per uva propria | Costo di produzione a ettolitro da uve proprie | |||
+ | Costi per vinificazione e sfecciatura | |||
Costi di acquisto per uva di terzi | Costo di produzione a ettolitro da uve di terzi |
La valorizzazione dei costi di produzione del prodotto finito
Continuando a percorrere il ciclo di produzione, una volta definito il costo del vino sfecciato occorre procedere alla determinazione del costo di produzione del vino pronto all’imbottigliamento.
Come visto, l’attività di affinamento e imbottigliamento sono generalmente effettuate in un esercizio successivo rispetto a quello di vendemmia: per i bianchi e i rosati generalmente si tratta dell’esercizio immediatamente successivo a quello di vendemmia, per i rossi invece l’affinamento può durare anche diversi anni. Anche per la costruzione di questi costi può quindi essere ipotizzabile una individuazione puntuale per i costi operativi (manodopera, materiali enologici, utenze) mentre per gli ammortamenti[15] si potrebbe procedere a una ripartizione su base mensile degli stessi. In questo modo il costo complessivo per gli ammortamenti gravante sul vino sfuso pronto all’imbottigliamento sarebbe sempre relativo a 12 mesi, ma calcolato come sommatoria dei costi su 2 esercizi diversi.
Particolare attenzione merita tuttavia l’ammortamento delle barriques, in quanto il processo di invecchiamento generalmente non riguarda tutto il vino prodotto/acquistato e quindi il relativo costo potrebbe essere ripartito solo sugli ettolitri che effettivamente ne saranno oggetto e per il periodo che contraddistingue ciascuna produzione. La ripartizione dei costi di ammortamento delle barriques, pertanto, non sarà sempre effettuata su 12 mesi per ciascun prodotto, in quanto alcune categorie di vino sfuso non saranno gravate da tale componente di costo mentre altre lo saranno per gli effettivi tempi di affinamento.
Ai fini della determinazione del costo finale del vino sfuso è, infine, necessario ricostruire le percentuali dell’eventuale taglio che andrà a definire le caratteristiche del vino sfuso destinato a essere imbottigliato. Infatti, il costo di produzione del vino da uve proprie è sicuramente diverso da quello di acquisto delle uve di terzi. Il taglio del vino ne sancisce la destinazione a una certa linea di prodotto finito e pertanto è necessario ponderare i 2 costi di produzione per calcolare il costo del vino contenuto in ciascuna bottiglia finita che verrà prodotta.
Costo di produzione a ettolitro da uve proprie | ||||
+ | Costo di affinamento | Costo del vino da imbottigliare | ||
Costo di produzione a ettolitro da uve di terzi |
Il costo del vino sfuso è solamente la prima componente per la determinazione del costo complessivo di ciascun prodotto finito. Oltre a esso, la distinta base evidenzierà anche il costo per le bottiglie, i tappi, le capsule, i faldi e i cartoni, oltre a eventuali confezioni speciali (ad esempio, in legno).
Anche per tali componenti non è possibile utilizzare un unico costo medio di acquisto che possa essere applicato per tutte le linee di prodotto finito ottenuto: ciascuna componente, infatti, rappresenta tipicità tali che possono richiedere una classificazione per linee di prodotto e per formati.
La peculiarità di ogni vino si accompagna, infatti, alla ricerca costante di una distinguibilità del prodotto anche grazie alle altre componenti della bottiglia finita. Ecco, quindi, che le bottiglie si possono classificare in base al loro peso, al centilitraggio, alla forma, le etichette in base a ricerche tecnologiche e/o di design[16] oltre che per il materiale/tecnica utilizzati per la stampa, i tappi in base al materiale di costruzione, e così via. Il costo di produzione di ogni prodotto finito di una azienda vitivinicola, quindi, sarà tipicamente formato dalla sommatoria dei singoli costi medi di acquisto/produzione di ciascun articolo che va a comporre la bottiglia finita[17].
Infine, oltre ai costi diretti sul prodotto (bottiglia, tappo, etichetta, confezione) che tipicamente formano la distinta base, per la definizione del costo complessivo di produzione andrebbero ripartiti tutti quei costi indiretti collegati al ciclo di imbottigliamento e alla logistica di magazzino. In questo caso, occorre nuovamente tener conto del costo della manodopera impiegata per l’attività di imbottigliamento e di stoccaggio, le utenze, i costi di trasporto e gli ammortamenti. Anche in questo caso, è importante stabilire per ciascuna di queste voci la contribuzione al costo di produzione, mediante l’individuazione di driver specifici in base ai quali effettuare la relativa allocazione. Tutti questi costi indiretti, qualificati come produttivi e quantificati in base alle percentuali sopra menzionate, potranno essere suddivisi in base agli ettolitri imbottigliati e/o ai pezzi lavorati, consentendo infine di giungere alla quantificazione del costo di produzione di ogni bottiglia finita.
Costo del vino da imbottigliare | ||||
+ | + | Ripartizione costi indiretti | Costo finale per bottiglia | |
Costo altre componenti distinta base |
Dal costo di produzione alla valorizzazione delle rimanenze
La valorizzazione delle rimanenze di magazzino rappresenta sicuramente una delle aree di maggior criticità per le chiusure di fine anno.
È in primo luogo importante sottolineare che in dottrina sono state formulate diverse possibili configurazioni del costo da prendere a base per la valorizzazione del magazzino. In particolare, è frequente una distinzione tra costo pieno e costo variabile, oppure tra costo standard e costo effettivo. I criteri di riparto delineati nei paragrafi precedenti hanno ripercorso la costruzione di un modello basato su un costo effettivo pieno, ma è naturalmente ipotizzabile una diversa scelta ai fini del controllo di gestione e/o per la redazione del bilancio.
Sulla base di quanto sopra descritto, la scelta per la valorizzazione del magazzino ricadrà su una valutazione puntuale del costo di produzione di ogni singola annata (vino sfuso) e di ogni linea di prodotti imbottigliati (prodotto finito). La composizione del magazzino dovrebbe, quindi, evidenziare categorie di vino sfuso relative all’ultima vendemmia e ad annate recenti, a seconda dei cicli di invecchiamento richiesti da ciascun prodotto. In questo caso, il costo di produzione calcolato nell’anno sarà la base per la valorizzazione degli ettolitri in giacenza relativi all’annata corrente, mentre le annate precedenti, se presenti, saranno valutate al relativo costo di produzione. Analogamente, anche il valore dei prodotti finiti e/o della bottiglieria nuda in giacenza a fine anno sarà stratificato in base al costo di produzione di ogni annata. Come visto, fra le rimanenze di magazzino sono da considerare anche le anticipazioni colturali, così come evidenziate nei precedenti paragrafi.
Una volta determinato il costo di produzione, per la valorizzazione delle rimanenze di magazzino, si applicherà la regola generale prevista dall’articolo 2426, cod. civ. e dal § 40 del Principio contabile 13, in base ai quali le rimanenze sono valutate in bilancio al minore tra il costo di acquisto o produzione e il valore di realizzazione desumibile dal mercato[18].
Occorre, infine, evidenziare che nella prassi contabile alcune società agricole adottano il costo medio ponderato, il Fifo o il Lifo quali metodi di valutazione alternativi al costo specifico. L’adozione di tali criteri può comportare anche sensibili divergenze di valore rispetto al costo di produzione: si pensi al caso di adozione del metodo del Lifo a scatti annuali, tramite il quale la quantità in giacenza può essere valutata sulla base dei costi di produzione di anni precedenti. Ciò comporta generalmente una sottostima del valore del magazzino e una più sfumata raffigurazione delle peculiarità di ogni annata vitivinicola[19], il cui costo di produzione può variare anche sensibilmente da un anno all’altro.
Tali metodi sono riconosciuti anche dall’articolo 92, Tuir e pertanto, nella generalità dei casi, si avrà una coincidenza fra il valore civilistico e il valore fiscalmente riconosciuto del magazzino.
Conclusioni
Ogni realtà vitivinicola è contraddistinta da peculiarità geografiche, vitigni coltivati e scelte strategiche che influenzano direttamente i costi di produzione del vino. Il modello di determinazione del costo della produzione vitivinicola deve tener conto di tutti questi elementi, oltre a considerare il ciclo biologico e le diverse fasi di lavorazione che si susseguono durante l’anno, andando ad attribuire a ciascuna di queste fasi una quota di costi direttamente e indirettamente imputabili.
Di fondamentale importanza è pertanto la definizione di un articolato sistema contabile/gestionale in grado di riflettere le specificità di ogni singola tenuta, bilanciando i benefici connessi a informazioni quanto più di dettaglio possibile e i relativi costi.
A fronte di questa eterogeneità che a ben vedere rappresenta uno degli elementi vincenti del sistema vino italiano, è ormai ineludibile l’introduzione di un Principio contabile nazionale che consenta una omogeneità nelle scelte operate dai produttori.
In questo modo si rende il settore più performante, si pensi alla corretta applicazione del controllo di gestione, e pronto ad affrontare le sfide future.
[1] Il raccolto è la separazione fisica del prodotto dall’attività biologica (nel nostro caso le viti).
[2] Questo principio contabile potrebbe invece trovare applicazione per la determinazione del costo del venduto nel caso specifico di accordi che prevedano la cessione dell’uva ancora su pianta.
[3] Gli Ias fanno riferimento al valore netto di realizzo, i Principi contabili nazionali al valore di realizzazione desumibile dal mercato.
[4] Ad esempio, si può ipotizzare un’evidenziazione su mappa dei diversi varietali coltivati e la destinazione degli stessi alla produzione di vini di eccellenza: su tali vigneti insisteranno infatti, generalmente, le principali differenze di costo di produzione, soprattutto con riferimento alla qualità e quantità di manodopera impiegata (si pensi, ad esempio, a una selezione manuale dei grappoli già in vigna).
[5] La vendemmia è sicuramente una delle principali lavorazioni analizzata, in quanto potenzialmente impattante con peso diverso sui costi di produzione dei diversi varietali ma anche in quanto attività per la quale è forse più semplice effettuare valutazioni in merito alla convenienza o meno di avvalersi di personale proprio, oppure, di terzisti.
[6] La riconducibilità delle ore impiegate sui diversi vigneti, e in generale di tutti i costi agrari sostenuti, consente una valutazione di merito anche sul ritorno economico delle stesse: un impianto poco produttivo, infatti, potrebbe assorbire più costi di quanto non possa essere “coperto” dalla valutazione della produzione e di conseguenza aprire scenari di scelta aziendale su, ad esempio, procedere a espianto e reimpianto.
[7] Una società il cui esercizio sociale corrisponde all’anno solare, quindi, dovrà tener conto di queste sfasature temporali per la costruzione di un modello di valutazione quanto più possibilmente aderente alla realtà.
[8] Le anticipazioni colturali sono dunque una specifica voce del magazzino esistente a fine anno, che consente di sospendere i costi in modo tale che vengano ripartiti sui quintali di uva e sugli ettolitri ottenuti dell’annata vitivinicola per i quali tali costi sono stati sostenuti.
[9] Questi costi vengono sospesi e rappresentano una vera e propria voce del magazzino di fine anno.
[10] Naturalmente un processo di scomposizione più accurata del costo del personale richiede la collaborazione e l’impegno dei responsabili dei lavori al fine di fornire al redattore del bilancio tutte le informazioni necessarie. Come sempre, il “costo” per l’ottenimento e la elaborazione di informazioni sempre più approfondite deve essere ponderato in considerazione dell’effettivo incremento di qualità e precisione del risultato finale.
[11] La determinazione del costo della produzione dell’uva destinata alla vendita come tale (quindi, di fatto, il costo del venduto della stessa) sembra essere un esempio di applicazione possibile dello Ias 41.
[12] Generalmente è possibile distinguere il costo degli operai di vigna rispetto al costo degli operai di cantina con la conseguenza che il costo medio orario potrebbe differire in questi 2 step di costruzione del costo di produzione. Gli effetti di tale eventuale differenziazione, tuttavia, sono tanto più limitati quanto più è simile la resa ottenuta fra i diversi varietali coltivati.
[13] Per le utenze, in particolare, è opportuno dotare lo stabilimento produttivo di specifici contatori, in modo da suddividere i consumi da quelli complessivi della tenuta.
[14] Naturalmente le considerazioni effettuate per gli ammortamenti possono essere replicate sui canoni di leasing.
[15] Si tratta degli ammortamenti degli impianti e macchinari utilizzati fino all’imbottigliamento.
[16] Si pensi allo sviluppo di Qr code presenti in etichetta, agli studi fotografici e/o di design grafico che precedono la definizione dell’etichetta, ai costi di stampa della stessa e a volte anche al materiale di cui è composta, magari per certi formati di pregio di alcuni vini di alta gamma.
[17] L’azienda vitivinicola dovrà quindi implementare un sistema di gestione interna in grado di distinguere gli acquisti effettuati in base a diversi codici prodotto di magazzino in modo tale da creare per ogni bottiglia finita una matrice di costruzione del costo complessivo di produzione.
[18] Il valore di presumibile realizzo è facilmente individuabile sul mercato per le eventuali quote di uva e/o vino sfuso prodotti e ceduti. Tuttavia, per le aziende più strutturate, tali quote, se presenti, sono sicuramente residuali rispetto alla totalità prodotta, in quanto la realizzazione di vini di qualità elevata richiede il controllo del processo produttivo, accettando anche costi medi di produzione più elevati rispetto a quelli di altri produttori. In questi casi il valore di presumibile realizzo è più facilmente riferibile al prodotto finito.
[19] Tanto che nei suddetti casi è preferibile procedere a mantenere una contabilità gestionale riconciliabile con quella di bilancio ai fini della determinazione del costo del venduto e delle marginalità.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Bilancio, vigilanza e controlli”.





