Perché la sovrafatturazione è un “danno” per il club
di Guido MartinelliMarta SaccaroÈ ormai noto che, a decorrere da quest’anno, la violazione dell’obbligo di effettuare movimentazioni finanziarie in contanti d’importo superiore a 1.000,00 euro, da parte di società ed associazioni sportive dilettantistiche non è più punita con la decadenza dal regime della L. n. 398/1991.
L’inosservanza dell’obbligo, che comunque rimane, è infatti ora punibile solo con una sanzione amministrativa. Se, da un lato, l’alleggerimento delle sanzioni previste per chi viola l’obbligo della tracciabilità è stato salutato come un atteso segnale di diminuzione dei rischi connessi al compimento di tale vietata operazione nei confronti dei sodalizi sportivi, non c’è però da cantare “vittoria” in assoluto.
La disposizione modificata, comma 5 dell’art. 25 della L. n. 133/1999, aveva infatti, nella sua origine un chiaro intento: quello di rendere più “difficile” l’attività di restituzione allo sponsor di denaro contante da parte dell’associazione che aveva emesso una fattura di importo superiore a quello che, in base agli accordi extracontrattuali, era stato effettivamente pattuito. Questa pratica di sovrafatturazione era di fatto incentivata grazie alla circostanza che i soggetti in 398 sono esonerati da obblighi di contabilità analitica. La situazione si è leggermente complicata – ma non troppo! – in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 460/1997 che ha modificato la disciplina degli enti non commerciali rendendo, di fatto, sempre obbligatorio il bilancio.
Anche la disposizione che ha imposto di tracciare tutte le movimentazioni finanziarie sopra soglia (fino a tutto il 2014 il limite era fissato a 516,46 euro), ha reso più complicata la procedura di restituzione del denaro allo sponsor: posto che effettuare le restituzioni al di sotto del limite avrebbe richiesto un periodo di tempo molto lungo, si è spesso ritenuto opportuno coinvolgere terze persone, qualificati come atleti, dirigenti, accompagnatori o comunque soggetti coinvolti nelle attività sportive, destinatari delle movimentazioni di denaro (qualificati come compensi per attività sportiva dilettantistica e opportunamente certificate) da “girare” poi allo sponsor. Da qui indagini che hanno portato ad ascoltare, da parte della Amministrazione finanziaria, anche i soggetti risultanti percettori di queste somme per analizzare la loro reale attività in favore del sodalizio sportivo.
Questa prassi ha però negli anni portato a conseguenze di rilievo nel bilancio di società ed associazioni sportive dilettantistiche che, in certi casi, può risultare “viziato” da comportamenti non virtuosi.
In primo luogo, si deve considerare che le somme restituite allo sponsor sotto forma di compensi per attività sportiva dilettantistica costituiscono pur sempre costi che si aggiungono a tutti quelli già diversamente sostenuti dal sodalizio, aggravando, in certi casi, il risultato finale.
In più, le persone disposte a collaborare nella pratica di restituzione allo sponsor si potrebbero trovare, loro malgrado, coinvolte in inchieste di natura penale per fatturazione di operazione inesistente. In proposito si ricorda che chiunque effettui una movimentazione finanziaria di importo superiore, fino all’anno scorso, ai 1.000,00 euro (importo elevato a 3.000,00 euro dal 2016 grazie alla Legge di Stabilità), è soggetto alle sanzioni previste dalla normativa antiriciclaggio.
Per questo motivo può accadere che il denaro restituito non trovi una documentazione di spesa “di copertura”. E questa è la situazione peggiore, sotto il profilo contabile, per il club. Escludendo infatti che possa non esserci corrispondenza tra l’importo risultante dall’estratto conto bancario e quello relativo alla scheda contabile della banca risulta inevitabile che la somma prelevata dal conto corrente, per essere restituita allo sponsor, figuri contabilmente come presente nel conto “cassa contanti” del sodalizio. Per inciso, ricordiamo che, in caso di controllo, la somma dichiarata deve essere fisicamente presente in cassa.
A causa di questo è facile che nel bilancio del club risulti un importo di cassa disponibile al termine dell’esercizio, superiore al saldo di fine anno del conto corrente bancario. E questo, oltre che non essere logico, è uno degli indici che decretano l’inattendibilità della contabilità, con gravi conseguenze in caso di accertamento fiscale.
La vicenda si complica considerevolmente se la sovrafatturazione è posta in essere da una società di capitali sportiva dilettantistica che, anche se ha adottato il regime della L. n. 398/1991 è comunque sempre tenuta alla redazione e alla pubblicità del bilancio secondo le regole stabilite dal codice civile.
In questo caso, infatti, bisogna prestare attenzione al fatto che le informazioni fornite nel bilancio (in relazione, ad esempio, alla effettiva consistenza della cassa contanti) siano veritiere al fine di non rischiare una contestazione ex art. 2621 c.c. per false comunicazioni sociali o, in ipotesi estrema, in caso di fallimento, l’accusa di bancarotta fraudolenta per gli amministratori.
Le problematiche si ampliano, ulteriormente, perché l’inesistenza dei valori in cassa fa presumere lo scopo di lucro con conseguente perdita della natura di sportiva dilettantistica e perdita delle agevolazioni anche sui compensi corrisposti
Per tutti questi motivi è auspicabile che chi dirige un sodalizio sportivo dilettantistico rifletta sulle conseguenze contabili derivanti dalla pratica di sovrafatturazione: un aiuto finanziario subito e una prassi a cui ci si sottomette perché “fanno tutti così’” può determinare conseguenze gravi ed irreparabili nei conti del club. È quindi spesso preferibile rinunciare alla sponsorizzazione a condizioni in fondo così gravose, preferendo, magari, contratti di importi più modesti ma che prevedano l’integrale pagamento del pattuito.