26 Luglio 2024

Perdite da fusione: cosa cambia con il correttivo Ires

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

Il Correttivo Ires – approvato dal Consiglio dei ministri in via preliminare lo scorso 30.4.2024 – ha previsto un intervento normativo che modifica, in modo non trascurabile, la disciplina del riporto delle perdite in occasione di operazioni di fusione societaria, cioè il disposto dell’articolo 172, comma 7, Tuir. Sul punto, l’articolo 6, lett. e), punto 3, L. 111/2023 (c.d. Legge delega) aveva previsto un riordino della disciplina fondato sui seguenti punti: “modifica della disciplina del riporto delle perdite nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione aziendale, non penalizzando quelle conseguite a partire dall’ingresso dell’impresa nel gruppo societario, e revisione del limite quantitativo rappresentato dal valore del patrimonio netto e della nozione di modifica dell’attività principale esercitata.

La norma attuale stabilisce il limite del patrimonio netto contabile della società che ha prodotto le perdite come ammontare massimo da rispettare, nell’ottica di trasferire le perdite stesse ad altra società partecipante alla fusione. Sempre la norma attuale individua due procedure per determinare il tetto dell’ammontare di perdita riportabile: o il patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio approvato oppure il netto risultante dalla redazione della situazione patrimoniale redatta ex articolo 2501 quater, cod. civ. (situazione patrimoniale che viene redatta con gli stessi principi di redazione del bilancio, quindi valutando le poste dell’attivo al costo sostenuto). Il dato contabile così ottenuto va depurato dei versamenti e conferimenti eseguiti dai soci nei 24 mesi antecedenti la data cui si riferisce il bilancio o la situazione patrimoniale.

Al riguardo, prima di esaminare il tema delle modifiche che saranno introdotte dal correttivo Ires, va sottolineato che un argomento sul quale non si registra una chiara presa di posizione da parte della Agenzia delle entrate è quello dei versamenti eseguiti dai soci in conto finanziamento, e poi fatti oggetto di rinunzia proprio nell’arco temporale monitorato dalla norma di cui all’articolo 172, comma 7, Tuir, cioè i 24 mesi antecedenti la data di effetto della operazione aggregativa. Il tema da valutare è sostanzialmente il seguente: in presenza di versamenti eseguiti a titolo di finanziamento eseguiti sì in date remote, ma diventati apporti di capitale a seguito di rinuncia alla restituzione entro i 24 mesi di cui sopra, occorre considerare la data del versamento, oppure la data della trasformazione del titolo da debito a capitale? Si tratta di un tema molto delicato per il quale non è facile dare una risposta tranciante. Chi scrive, osserva che, depongono a favore della data dell’effettivo versamento della liquidità a favore della società, le seguenti due considerazioni:

  1. la norma ha obiettivo antielusivo tendente a scongiurare che versamenti eseguiti in tempi vicini alla fusione abbiamo come unico obiettivo il tentativo di trasferire all’incorporante un ammontare più elevato possibile di perdite. Sotto questo profilo, si potrebbe dimostrare che tale eventualità è scongiurata nel caso in cui, ad esempio, l’effettivo versamento sia stato eseguito in date non sospette e, comunque, molto tempo prima rispetto al lasso temporale dei 24 mesi;
  2. la norma parla di “conferimenti e versamenti” non solo di conferimenti, e nei versamenti ci potrebbe stare anche il finanziamento soci, anche se esso è diventato conferimento nell’arco temporale sospetto dei 24 mesi.

Sulla questione, tutt’altro che rara nella prassi quotidiana, sarebbe opportuna una presa di posizione da parte della Agenzia delle entrate.

Ma tornando alla novità che si registra nel Correttivo Ires, va sottolineato il superamento della nozione di patrimonio netto contabile quale tetto “necessario” per quantificare l’entità della perdita fiscale trasferibile: infatti, il nuovo comma 7, dell’articolo 172, Tuir, introduce la possibilità, rectius, cita quale prima modalità operativa da applicare la valutazione “economica” e non contabile del patrimonio netto. Tale valutazione deve derivare da una perizia di stima eseguita da un soggetto designato dalla società e qualificato come revisore legale ex articolo 2409 bis, cod. civ. È chiaro che questa novità porta con sé un tendenziale ampliamento della possibilità di trasferimento delle perdite, laddove si pensi alle plusvalenze latenti che potranno essere valutate ad incremento del patrimonio netto.

Tra queste, un elemento di particolare delicatezza è rappresentato dall’avviamento che, come noto, è elemento patrimoniale, la cui determinazione è alquanto soggettiva e, d’altra parte, non risulta che vi siano elementi tali da portare alla conclusione di dover escludere tale dato dal computo peritale. Ma la contropartita a tale apertura, sarà interrogarsi sulla possibilità che l’Agenzia delle entrate avrà per contestare l’entità della perizia di stima.

Alcuni esisti della Corte di cassazione (tra cui la sentenza n. 16366/2020) tenderebbero a riconoscere all’Agenzia un potere di sindacabilità sui valori periziati e giurati il che, però, se confermato, depotenzierebbe alquanto l’alternativa prevista dal legislatore del Correttivo, nel senso che non vi è nulla di più soggettivo della stima del valore economico di una società; ora, altro è se il perito ha eseguito valutazioni false per le quali egli è responsabile anche penalmente, altro è se i valori peritati siano suscettibili di contestazione sul quantum pur non avendo nulla da eccepire sulla correttezza del procedimento valutativo: in questo caso, non avrebbe molto senso introdurre una possibilità di quantificazione peritale del netto patrimoniale, se poi essa fosse sindacabile dalla Agenzia delle entrate.

Un secondo elemento di novità – che mette fine ad un contenzioso ormai ultradecennale – è il computo nel controllo del test di vitalità, anche della frazione di esercizio che va dall’inizio dell’esercizio alla data di effetto della fusione: tale inserimento, che ormai da diversi anni è sempre stato sostenuto dalla Agenzia delle entrate, è stato altrettanto contestato dalla dottrina.

Infatti, quest’ultima, appellandosi ad un dato letterale (articolo 172, comma 7, Tuir, nella sua versione attuale) che introduce il test di vitalità solo per l’esercizio antecedente a quello di efficacia della fusione, da confrontarsi con i due ulteriormente precedenti, ha sottolineato che nessun riferimento viene fatto alla frazione di esercizio sopra citata, quale dato da computare nel confronto per il test di vitalità. Ora, il Correttivo inserisce nello stesso test di vitalità, anche la frazione di esercizio in questione e ciò conferma, a parere di chi scrive, che fino alla modifica de quo, aveva ragione la dottrina a scartare la tesi inclusiva della Agenzia delle entrate; tesi che, solo in futuro, a fronte di una specifica modifica del citato articolo 172, Tuir, potrà essere sostenuta.