Perdite fiscali post fusione: limite del patrimonio netto rettificato
di Fabio LanduzziAi sensi del comma 7 dell’articolo 172 Tuir, le perdite delle società che partecipano alla fusione possono essere riportate e quindi essere utilizzate dalla incorporante, o dalla società risultante dalla fusione, entro l’ammontare che non eccede il rispettivo patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater, cod. civ., senza tenere conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione patrimoniale.
In merito all’applicazione di questa norma, che ha evidenti e dichiarate finalità antielusive volte a porre un limite alla fusione di cd. “bare fiscali”, si sono nel tempo posti alcuni dubbi operativi.
In primo luogo, ci si interroga circa quali siano i “conferimenti e versamenti” che devono essere portati a riduzione del patrimonio netto rilevante ai fini del computo del limite in oggetto. Al riguardo, è opinione pressoché uniforme in dottrina che vi rientrino sia i conferimenti e versamenti in denaro che in natura effettuati dai soci o anche da terzi, ad esclusione di quelli eccezionalmente provenienti dallo Stato o da enti pubblici in base a norme di legge.
Vi rientrano perciò anche le remissioni di debito dei soci e quindi le rinunce a crediti dei soci che, come prescritto dai principi contabili, devono essere iscritte direttamente ad incremento delle riserve e non transitare al conto economico dell’esercizio.
Si era aperto un dubbio con riguardo ai versamenti effettuati dai soci in occasione di delibere di ricostituzione del capitale sociale eroso da perdite, e quindi risultanti da decisioni assunte in ordine al verificarsi delle condizioni prescritte dall’articolo 2447, cod. civ. (e articolo 2482-ter, cod. civ., per le S.r.l.). La questione era stata infatti oggetto di un giudicato favorevole della Commissione tributaria regionale delle Marche, a cui tuttavia l’Amministrazione finanziaria si era opposta mediante ricorso in Cassazione.
La controversia è stata quindi decisa dalla Suprema Corte con la sentenza 26697/2016 la quale, riformando il precedente giudicato della regionale, ha affermato che il patrimonio netto rilevante quale limite massimo al riporto delle perdite fiscali della società partecipante alla fusione, deve essere assunto al netto dei versamenti effettuati nei 24 mesi precedenti, senza che ai fini della rilevanza o meno di tali versamenti possa assumere rilievo la ragione per cui gli stessi sono stati effettuati.
In altre parole, i giudici della Cassazione hanno ravvisato come la norma in questione non consenta deroghe o condizioni particolari di operatività, così che anche versamenti che trovassero la loro ratio nella ricostituzione “obbligata” – pena la liquidazione – del capitale sociale, non meriterebbero di essere esclusi dal computo rilevante ai fini dell’articolo 172, comma 7, del Tuir.
Altra questione non del tutto chiara è quella che attiene al computo dei 24 mesi anteriori, dice la norma, alla data a cui si riferisce la situazione patrimoniale di fusione ex articolo 2501-quater, cod. civ.. Il riferimento alla situazione patrimoniale pare infatti oggi un poco anacronistico, stante l’evoluzione normativa che consente in numerosi casi, ogni qualvolta consti il consenso unanime dei soci, di rinunziare alla redazione della situazione patrimoniale.
Pare corretto fare riferimento in ogni caso a quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 54/E/2011; in questo documento di prassi, si indica come il confronto dovrà essere compiuto fra l’ammontare delle perdite fiscali disponibili al momento dell’efficacia civilistica della fusione, e il patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’esercizio precedente, indipendentemente dal fatto che questo, alla data di efficacia civilistica della fusione, sia già stato approvato o meno dai soci. In altri termini, il riferimento parrebbe dover essere compiuto al patrimonio netto risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione, a maggior ragione in tutti i casi assai frequenti nella pratica in cui l’atto di fusione dispone la retrodatazione degli effetti contabili e fiscali della stessa.